Translate

Cerca nel blog

lunedì 21 giugno 2021

QUANDO SOLE E LUNA SONO DUE SORELLE: Finlandia, il mito di Päivätär

 BUON SOLSTIZIO D'ESTATE! 

Per celebrare questa festa legata al sole voglio oggi parlare di una Dea solare poco conosciuta, proveniente dalla Finlandia. Il suo nome è Päivätär.


Una cosa affascinante del mito che la riguarda, è che lei, Päivätär, sole femminile, lavora in coppia con sua sorella Kuu, la Luna anch'essa femminile.

Richiamandomi al post di qualche giorno fa sulla coppia sole/luna e l'ossessione di crederla immutabilmente sinonimo di maschile/femminile, ecco un'altra prova che le cose non sono affatto "da sempre" e "ovunque" andate così. Qui sole e luna sono entrambe due dee.


Entrambe provenienti dalla stessa matrice: con la rottura dell'uovo cosmico, infatti, una parte del guscio diventò la Terra, l'altra parte diventò la volta celeste. La chiara d'uovo divenne la Luna e il tuorlo divenne il sole, la nostra Päivätär. Sole e Luna, medesima matrice. 


Seduta sull'arcobaleno, Päivätär tesse la luce solare. Con il pettine d'argento tesse il filo del destino, e con una navetta dorata tesse tessuti altrettanto dorati. La aiuta la sorella, filatrice.


Di guai ne passano nel loro mito. Un giorno, il dio della poesia e delle canzoni Väinämöinen si mise a suonare la sua arpa magica, cantando. Per ascoltarlo, le due sorelle smisero con le loro attività e andarono a sedersi: il sole su un abete (a lei sacro), e la luna su una betulla (a lei sacra). 

Fu una Crona a rapirle, Louhi, approfittando della loro distrazione. Le rapì portandole nelle sue terre di ghiaccio nel lontano nord. 

E le imprigionò in una prigione di ferro nel cuore di una montagna. 

Arte: "Päivätär" di Elina Pessa - Non prendere questa immagine senza mettere i crediti!


Ecco, tema ricorrente, la terra che rimane senza luce e calore. I campi si coprirono di ghiaccio, persone e animali morirono di fame e freddo e pure le stelle, dice il mito, persero la loro luce per via della scomparsa di sole e luna. 


Furono gli dei a scocciarsi della situazione e chiesero di nuovo a Väinämöinen e al dio fabbro Ilmarien di liberare il sole dalla sua prigione. 


Attenzione al passaggio: Ilmarien trovò una nuova soluzione: rimpiazzare le due sorelle con un nuovo sole e una nuova luna e provò a forgiarle lui, in metallo. Piazzò la sua nuova luna sulla cima dell'abete più alto e il suo nuovo sole sulla cima del pino più alto ma non funzionò: non riuscivano a brillare.


 Väinämöinen si servì allora della corteccia di un pioppo tremulo per divinare il luogo in cui le due sorelle erano nascoste. Fu lui a mettersi in viaggio e incontrare la Crona, chiedendo di liberare le sorelle. 

Ma lei rifiutò.


Väinämöinen allora sfidò l'esercito della Crona Louhi con la sua spada magica e lo sconfisse, riuscendo a raggiungere la prigione di Päivätär e Kuu. 

La prigione era custodita da serpenti e vipere, che lui distrusse (si, sono simpatici anche a me i serpenti!).


Ma a quel punto si trovò davanti a 9 porte ciascuna con tre serrature. 

Che non riuscì ad aprire. 

Allora tornò dal dio fabbro, chiedendo di forgiare le chiavi per aprire quelle soglie. 


Ma alla Crona non garbava affatto la possibilità di liberare le sorelle, per cui si tramutò in aquila per spiare il lavoro della fucina. Raggiunse il dio e provò ad adularlo, con la scusa chiedendo cosa stesse fabbricando. Ma il dio non ci cascò.


"Sto facendo un collare per il collo della perfida Louhi, strega sdentata di Sariola, ladra della luce argentata del sole (si, qui il sole è anche connesso all'argento e non sembra esserci tra oro e argento il solito rapporto dicotomico a cui siamo abituate/i. Interessante no?)

Crediti spirit111 per pixabay.com


Spaventata che gli dei potessero imprigionarla, corse nelle terre del nord e... liberò le due sorelle. (Il ciclo della natura contro il quale nemmeno gli dei possono nulla!)


Louhi ora si tramutò in una colomba e tornò dal dio fabbro, per dirgli che il sole stava sorgendo di nuovo: non serviva che continuasse il suo lavoro. 


Mentre il sole sorgeva, Väinämöinen cantò una preghiera per Päivätär, affinché risolvesse i guai sulla terra. 


"Sorgi, tu, Sole d'argento, ogni mattina

Sorgente di luce e quindi di vita

Portaci ogni giorno i tuoi gloriosi saluti

Riempi le nostre case di pace e pienezza 

Che le nostre semine, la pesca, la caccia

Possano prosperare con la tua venuta.

Termina il tuo viaggio nel sonno

Riposa la sera nell'oceano

Quando la tua cura giornaliera è terminata."


Anche Päivätär è capace di entrare e osservare il regno dei morti, perché questo tema ricorre in tutti i miti legati alla "barca solare". Il sole non è solo "luce", è anche viaggio nel buio. 

Le due cose sono inscindibili e il fare propria questa immagine comporta una lettura della realtà molto differente da quella a cui siamo abituate/i.


Suo attributo è anche l'onniveggenza, altro tema ricorrente legato al mito solare. 


Ci sono varie similitudini con i miti di altre dee solari, che invito ad approfondire. L'essere imprigionata nel buio della terra la connette alla dea sole Amaterasu, sebbene quest'ultima ci sia entrata di sua volontà. Ma il richiamo qui è al ciclo della natura con la sua alternanza di buio e luce.

Saule, altra dea solare, anche lei fu imprigionata ma in una torre, e salvata dai segni dello zodiaco.

Come Amaterasu e Saule, è tessitrice della luce solare e del fato.


La Crona Louhi ricorda la Cailleach che imprigionò la dea gallese Bridie in una grotta.

La Crona qui, coerentemente con la nostra tradizione, rappresenta l'inverno. Solo lei può decidere quando è ora di ritirarsi e riportare la primavera. E infatti possiede un magico oggetto, chiamato "sampo", visto come un mulino di abbondanza. Ruota, creando farina, sale e denaro. Simbolo dei regni celesti, con al centro l'asse dell'albero del mondo. 

Significativo che lo strumento di abbondanza sia in mano alla Crona, e conferma il suo ruolo nel governare i cicli dell'esistenza. 


Sono molte le storie di Päivätär ma intanto godiamoci questa.

Ricordando che, come ribadiscono Micaela Balice e Irene Zanier, non è che tutti i "portali" e tutte le stagioni significhino "rinascita". 

Tutt'altro.


Il solstizio d'estate è il massimo della potenza del sole. Che inizia al contempo la sua decadenza. Parlando in termini mitici, siamo ancora nel periodo della massima forza. Ma ci ricorda che quel "rapimento" è vicino. 


Fonti per cominciare (purtroppo mai tradotte):

Stephanie Woodfield "Drawing down the sun", Llewwllin Publications

Sheena McGrath "The Sun Goddess", Blandford Pub.


giovedì 13 maggio 2021

L'incredibile potenza e meraviglia del parto - La nascita di Jendsana

Sulla sacralità della gravidanza e del parto ho scritto uno degli articoli più letti di questo blog, lo puoi trovare QUI

Oggi, a 2 anni esatti dalla nascita della mia seconda bimba, voglio raccontare anche di come lei è venuta al mondo.

Perché è fondamentale, a mio avviso, raccontare l'esperienza del parto? 

Perché l'immaginario attorno allo stesso è terrificante. Film e serie TV fanno la loro parte (leggi danni), come spiega molto bene Elena Skoko con il suo lavoro! 

E decadi di parti inutilmente ultra-medicalizzati hanno fatto il resto. Posizioni che sfavoriscono la buona riuscita (quella che tutte abbiamo in testa, distese sulla schiena con le gambe sulle staffe, si chiama posizione litotomica ed è di invenzione relativamente recente. Favorisce il medico non certo la partoriente né il bambino: va in senso contrario alla forza di gravità! Suvvia); manovre inutili; luci puntate... 

Sono tutte cose che interrompono il meccanismo fisiologico, che naturalmente ha le sue regole.

E' facile da capire: favorisci il meccanismo = tutto riesce meglio. Ostacola il meccanismo = fai insorgere complicazioni. 

Esistono sempre più ospedali che si allineano alla fisiologia del parto, ma per decolonizzare questo immaginario ci vorrà moltissimo tempo.

Le consuetudini di cui sopra, quelle che ostacolavano, hanno portato alla necessità di intervenire di più. Generazioni di donne hanno vissuto un parto violento, è il caso di dirlo. E naturalmente questo resta nei racconti. Come giustificare episiotomie o manovre di Kristeller inutili, se non ingigantendo rischi che magari in un parto rispettato non sarebbero mai accaduti?

I racconti spaventano, e la paura non aiuta. E il cerchio si chiude. Bene. Tra poco avrai un racconto di un parto bellissimo. Estatico direi. Non orgasmico, eh, ma estatico si.

Lessi tutto ciò che c'era da leggere con la mia prima gravidanza. E mi restò dentro: anche per la mia seconda scelsi di partorire come volevo io. 

Non in ospedale, che è un luogo che mi mette paura e disagio per le mie esperienze passate. A meno che la mia piccola non avesse avuto altri piani, perché ricordiamolo, si sceglie in due, scelsi nuovamente di darla alla luce nell'intimità della mia casa. 

La mia Jendsana a pochi giorni, foto di Nicole Frisanco

La prima cosa da comprendere è che abbiamo bisogno di poter scegliere liberamente. E non vedere le donne che scelgono diversamente da noi come nemiche. Non dobbiamo eleggere un modello unico anche nel "come e dove si partorisce", ma curarsi che le alternative siano alternative sul serio. Finché insultiamo chi sceglie diversamente, non stiamo aiutando a creare alternative in modo sano.  

Non dobbiamo cercare validazione del nostro essere "nel giusto" in questo modo, cioè facendo fuori tutto ciò che è diverso, perché questo alla lunga ci si ritorce contro. 

Nelle scelte ci sono sempre fattori individuali, a ciascuna i suoi! Non esiste "l'altra mi fa sentire sbagliata" quando le nostre scelte sono fatte in piena consapevolezza! Piuttosto aiutiamo le donne a scegliere quello che davvero è più giusto per loro, che le fa sentire più a loro agio, mandando a fanculo la pressione di parenti e amici (che anche nel mio caso è stata forte ed è terribile). Se si sceglier per accontentare loro ma no noi stesse ci togliamo potere. E il parto E' potere. Non so se mi spigo. 

In più, il parto è una di quelle cose dove non decidi da sola. Ma no i parenti, lo ripeto, che si devono fare gli affari loro, ma il bambino/a! Il nostro cucciolo può avere altri piani e questo si deve sapere per evitare sensi di colpa nel caso le cose prendano una piega diversa da quella sperata.


E ora veniamo al racconto.

Tutta la mia gravidanza è stata molto difficile, dal punto di vista degli ormoni. Ho sofferto di una terribile depressione, nausee per 7 mesi, fatti della vita che prendevano pieghe dolorose. 

La cucciola però cresceva benone, e il mio corpo, a parte essersi gonfiato come un pallone (ho preso 22kg!), faceva tutto ciò che c'era da fare. 

Il parto mette sempre un po' paura. E' nella natura delle iniziazioni. 

Il fatto che sia il secondo non migliora le cose! Ma poi arriva un momento in cui ti senti in ballo. E quando arriva, la paura se ne va. 

Ho avvertito nell'aria l'avvicinarsi dell'evento qualche giorno prima. Lo chiamo "il giro degli ormoni". Divento cucciolosa, un senso di tenerezza infinita, vivo le giornate in estasi: durante la prima gravidanza questo momento è scattato il giorno prima, con Jendsana è durato più a lungo.

Guardavo il calendario e dicevo: "il 13 è un bel giorno". 

E infatti, le prime contrazioni preparatorie partirono il 12 nel pomeriggio, mentre passeggiavo lungo il Lago di Levico, praticamente galleggiando a mezz'aria.

Il dolore è una delle cose che più spaventa, eppur anche questo è relativo. Nel primo parto lo sentii di più, la paura sul serio fa moltissimo. Poi "non sai bene", tutto è nuovo, tutto è sorpresa. 

Questa volta ho accolto quelle contrazioni fin troppo bene. Sono arrivata a casa, ho cenato, sono andata a letto che diventavano più vispe, ma mi sentivo "drogata" e estatica, al punto che se anche aumentavano di intensità, io dicevo a mio marito "ma magari non è ancora ora". Per quello "fin troppo bene": tra un po' non mi accorgevo che stavo partorendo!

Fa ridere a ricordarlo, ma per me è il segnale che tutto stava andando secondo fisiologia: il corpo ha il suo meccanismo anche di reazione al dolore! Favoriamolo, invece che ostacolarlo!

L'immagine dell'onda mi fu utile un'altra volta: le contrazioni vanno e vengono, non è un dolore costante. Lo senti arrivare come un qualcosa da lontano, che poi si avvicina, cresce, raggiunge un picco e poi scema, scomparendo del tutto. L'essere un po' in un altro mondo mi ha permesso di assecondarla a meraviglia quest'onda. 

E la voce. Vocalizzare accompagnandola, è fondamentale! Altro che gola stretta, altro che trattenere il respiro! 

Mattia ha chiamato l'ostetrica SuperCristina Guareschi perché il mio vocalizzare si faceva frequente, mentre io ancora non capivo se fosse l'ora o no, da quanto ero stordita! L'ostetrica ha capito subito invece, sentendo come vocalizzavo.

Finché l'ostetrica arrivava, mio marito preparava mia figlia grande per portarla dalla vicina, solo perché io potessi concentrarmi su di me. In realtà a me sarebbe piaciuto non escluderla da un simile evento. 

In una ventina di minuti Cristina era da noi. 

Non so dire questa volta quando sia durato esattamente il travaglio, perché è stato un lento crescendo dalle contrazioni del pomeriggio, comunque persino quasi piacevoli, fino a quel momento. Pochissimo direi nella fase più attiva, forse appena qualche ora! 

Arrivata Cristina l'ostetrica, mi visita e vede che ci siamo... che mi viene voglia di spingere. 

Voglio lo sgabello da parto! Finché mio marito lo prepara le prime due spinte le faccio distesa sul letto. E' difficile alzarsi in quei momenti! Ma no eh, mi sono resa conto dell'assurdità dello spingere distese. 

Mentre la mia vicina è arrivata a prendere la mia grande, lo sgabello da parto era pronto.

Mentre mi sedevo sullo sgabello da parto, la testina della mia bebé si avvicinava all'uscita, complice la forza di gravità! Donne, utilizzate la forza di gravità! 

La mamma Terra che attira i suoi nuovi cuccioli a sé aiutando le madri a farli nascere!

A quel punto non aveva più senso che la mia grande se ne andasse. L'ostetrica l'ha chiamata: "vieni a vedere che sta nascendo la tua sorellina!"

Bat Panz - ed era appena febbraio!


Ah si, lo sgabello da parto. Io sono una che ama partorire coi piedi per terra! Mi attraeva l'idea dell'acqua per il primo parto, ma partorire non è affare della mente. Una volta infilata nella vasca ho capito che proprio no, volevo i piedi per terra e tutto del mio corpo me lo comunicava. Il parto è ancora un istinto animale, e io ho adorato di scoprire di avere ancora un istinto animale, e di quanto forte questo possa essere. E' un'esperienza indimenticabile. Nulla nella mia mente l'avrebbe potuta immaginare, puoi solo passarci. 

E infatti, a proposito di gravità alleata: seduta sullo sgabello in fretta e in furia, due spinte aggrappandomi all'asse da stiro ed è nata! Una per la testa, una per tutto il resto!

E' nata con la camicia! Con il sacco amniotico intero!

E le uniche che hanno visto la mia bimba uscire nel sacco sono state la sua sorellona e la mia ostetrica!

4 kg 180 gr, alle 4.58 di mattina. Neanche un punto: dove li mandiamo gli stereotipi sui bambini grossi?

Dopo un po' è nata anche la placentona, che è restata con noi ancora per un po'. Il momento più bello è lo stare pelle a pelle dopo. Fondamentale. 

Io non mi sento "mamma da subito". Ho bisogno di quel momento quanto ne ha bisogno il cucciolo umano. All'inizio fa tutto strano, trovartela "fuori", vederla occupare uno spazio, e tu ti chiedi "ma l'ho davvero fatta io? Era quella che mi stava dentro?". E' destabilizzante, almeno per me. 

Nessun bagnetto, nessuna procedura dovrebbe interrompere questo momento. E se mamma non se la sente, almeno lo faccia il papà. 

Il cordone è rimasto intero per un paio di orette ancora. E forse doveva restare anche un po' di più. E non sono cose che si possono decidere a priori con la razionalità, tanto meno dovrebbero essere decise da procedure standard che non hanno alcuna ragione (a meno di non voler conservare le cellule staminali). 

Varcare la soglia tra i mondi non conclude l'atto della nascita. A me personalmente serviva un momento liminale per ambientarmi nel nuovo mo(n)do e sicuramente anche alla cucciola. 

Fortunata, qualcuno mi ha detto. NO! 

E' il contrario. Il parto non è una malattia, è fisiologico. E' questo che deve cambiare. Una donna deve poter sapere con tutta se stessa che lei sa partorire e il suo bambino o bambina sa nascere. E che IN CASO sia sfortunata allora ben venga intervenire!

Oggi abbiamo tutto. Screening, esami, conoscenze sull'igiene. Uno dei periodi storici in cui morivano un sacco di donne di parto fu proprio nel momento in cui le ostetriche donne furono scalzate da medici uomini, che visitavano le partorienti senza lavarsi le mani per prassi. E' storia. Il medico che intuì la necessità dell'igiene delle mani fu RADIATO. Rendiamoci conto. 

Ogni parto è unico, ma non è una condanna a morte. Il rischio zero non esiste da nessuna parte, nemmeno in ospedale e anzi. Gli ospedali "interventisti" possono paradossalmente aumentarlo, il rischio. 

Ed è importante che circoli questa conoscenza, affinché sempre più ospedali offrano esperienze in linea con la fisiologia.

La potenza che restituisce, l'unicità e particolarità di questa capacità del corpo, il poter sentire cosa vuol dire "istinto", la consapevolezza dell'avere anche una natura ATTIVA, che non esiste il "femminile passivo" dopo che hai partorito in questo modo... sono tutte perle preziose che non andrebbero mai nascoste in nome di questo o quell'ideale. 

Posso dirlo. Partorendo ho trovato pezzi enormi di me stessa.

E attenzione a non applicare una logica duale oppositiva, che è un modo di pensare patriarcale. Non sto dicendo che non esistano altri modi per recuperare pezzi di sé.

Esistono e partorire non deve essere un obbligo. Ma non significa nemmeno negare la portata di questa esperienza. 

Una, deve essere la regola in questi casi: narrare l'esperienza che si è fatta, senza negare le esperienze altrui.

O ricominciamo tutto daccapo.

La presenza della sorella ha portato meraviglie: giocava a partorire, sa tutto di come nascono i bambini, e l'evento così presente nelle coscienze di tutta la famiglia è ricordato e celebrato. Capisco anche con l'esperienza cosa significa "non nasconderlo", portarlo nel quotidiano, dargli spazio perché esista. 

Rispetto al primo parto ero di 6 anni e mezzo più vecchia. La prima volta avevo la sensazione di dover anche combattere una guerra contro tutti coloro (troppi!) che fino all'ultimo mi facevano pressione affinché partorissi come volevano loro! Questa è una mancanza di rispetto terribile, che non aiuta. Sono sicura che alcuni di questi elementi abbiano inciso sul mio modo di vivere il travaglio, sulla fatica, sulla fase espulsiva che è durata moltissimo. Questa volta ho messo netti e feroci confini da subito, perché grazie al primo parto mi sentivo più forte di poterlo fare. E infatti... 

Però se mi leggi e sei nella posizione di amico/parente di una partoriente: dalle fiducia e appoggiala. Gestisci la tua ansia da te e non vomitarla su di lei, perché la tua ansia non la aiuta a partorire, sono stata chiara? Bene. 

E con questo, torno a crogiolarmi nel ricordo. 

Buon compleanno bimba mia!  

giovedì 6 maggio 2021

Biancaneve scandalosa: quello che il caso mediatico non ti dice

Tutti pazzi per BIANCANEVE

E noi ci proviamo a sottrarci da questa polarizzazione e a fare un ragionamento diverso?

Dunque: tutto comincia con l’opinione di DUE giornaliste riguardo una giostra. In Italia diventa un caso. Che strano eh?

Rimbalza per i media tutto un “la dittatura del politicamente corretto vuole cancellare la nostra tradizione”. 

E sono precisamente questi media con questo modo di far giornalismo che ci tendono il tranello. Se ci caschiamo, ci facciamo polarizzare per quella che è la loro visione delle cose. 

In Italia si usa tantissimo: è una fallacia argomentativa (cioè un errore di ragionamento) che ha pure un nome: argomento fantoccio. In questa peculiare variante si tratta di estremizzare ed esasperare le conseguenze di un argomento, fino a tramutarlo nella prova della rovina del mondo. Quindi si costruisce il “dibattito” (scontro, lo definirei) su un argomento che non è affatto quello reale. Ma una costruzione estremizzata e gonfiata dello stesso.

In questo caso il bacio del principe che “non si dovrebbe toccare” sta alla tradizione esattamente quanto il panettone come dolce natalizio nazionale: a meno che tu non sia milanese, e quindi avresti ragione a vederlo come dolce tradizionale, per tutto il resto d’Italia è invenzione recente. Per ragioni meramente di convenienza industriale.

Il famoso bacio è invenzione disneyana, in quanto nella storia originale Biancaneve praticamente sputa o vomita in autonomia il pezzo di mela a seguito del trasporto burrascoso della bara. Una specie di mal d’auto traslitterata sul trasporto funebre. 

Punto. Fine della “tradizione”. 

La questione semmai è un’altra.

Ed è uno dei punti chiave nella ricerca della Dea. E cioè che ogni cultura RI-SCRIVE I MITI. Ne modifica i simboli, ne aggiunge di suoi.

Perché le storie non sono robetta per bambini e non lo sono mai state. Sono matrici, che PRODUCONO IMMAGINI. Immagini che bypassano il controllo razionale e arrivano alla pancia, con la CAPACITA’ DI CREARE CULTURA E VALORI.

A cui poi i membri si adegueranno. Sono un sistema di ordinamento della società, non mero intrattenimento.

Ed è qui semmai che possiamo ragionare. 

Io è da tempi lontani e non sospetti che contesto quel bacio, ma non per un problema di consenso, che mi pare una lettura forzata, ma piuttosto per la produzione di significato simbolico dei generi: un femminile passivo che può essere trasformato solo con l’intervento di un maschile salvifico. 

Roba vittoriana. Biancaneve è del 37, periodo in cui le influenze dei generi vittoriani erano ancora vivaci. 

Non lo dico, cosa ho dovuto leggere in giro su questa aggiunta, sul come un presunto sacro femminile possa essere salvato solo dal "sacro maschile", letture che mi danno i brividi da quanto sono inconsapevoli di una radice storico-culturale. 

Biancaneve originale è una potente storia di trasformazione e iniziazione. La strega non è che la Crona, la Dea in veste di iniziatrice, e il tema è quello della morte e rinascita. Cresci, ti trasformi. Esiste sia con personaggi maschili sia con protagoniste femminili ed è un viaggio che riguarda ciascuno e ciascuna di noi. Dove possiamo avere aiuti, ma i passi, l'azione, la possiamo compiere solamente noi. 

Principio-chiave-di-ogni-iniziazione. 

L’aggiunta del salvatore, posticcia, mi pare davvero forzata e comprensibile alla luce di una lettura storico-sociale. In questo senso sottrae potere, piuttosto che darne. E' come fare i compiti per casa al posto dei propri figli, per trovare un'immagine attuale del processo di crescita che raffigura. 

E calza a pennello con la donna dell'epoca: sempre da proteggere, "minorenne" a vita, delicata e inconsapevole. Prova a fare un po' di ricerca sui valori femminili vittoriani. 

Ecco. Come orientarsi in questo delirio di narrazioni e contro-narrazioni, sovrapposizioni storiche e riscritture? Per me personalmente la chiave è diventata proprio “quale mondo sa produrre quale simbolo”. 

Serve un’infarinatura sui valori delle epoche storiche che si sono susseguite per capirlo, serve una conoscenza di base dei simboli nelle narrazioni e dei meccanismi di modifica degli stessi. 

Allora saremo in grado di proporre ragionamenti non così banalmente polarizzati da “tradizione si, tradizione no”. Perché in quel macro insieme chiamato “tradizione” vedremo probabilmente cose che vorremo mantenere, cose che “ni”, cose che proprio no. 

Cosa è la "Tradizione" se non scelte, di esseri umani venuti prima di noi, per rispondere ai temi della propria epoca? Non c'è "la tradizione". Ci sono somme di tradizioni, ciascuna con una radice precisa. 

E nelle nostre proposte e scelte non ci sarà accordo. D’altronde, c’è chi oggi vorrebbe un ritorno della “donna in casa e del maschio all’esterno a produrre cultura”, modello sociale per cui il femminile solo passivo va benissimo come simbolo. 

Per quanto riguarda me, spingo sui miti delle Dee solari non a caso. 

Attenzione che non è nemmeno vero che si tratti solo di “meccanismi psichici”. I miti hanno SEMPRE più livelli di lettura, è sciocco distinguere tra “profondi/superficiali” nel significato di  “più giusti/meno giusti”. E pure i meccanismi psichici sono stati interpretati proprio in quell’epoca lì, teorizzati nell’ambito dello stesso sistema di valori e visioni del mondo. Nemmeno qui si può parlare di “neutro”, “naturale” e “immutabile”. Dibattito più che mai vivo anche all'interno del mondo della psicologia del profondo (es. Antonella Adorisio).

Ma tu che mondo vuoi produrre, che modello di società vuoi? E’ da qui che possiamo partire.

Per quanto riguarda poi il caso mediatico, a questo tipo di giornalismo possiamo solo rispondere in un modo. 

Questo:


:)

sabato 6 marzo 2021

Perché il pensiero "che separa" - o dualismo oppositivo - ci impedisce di evolvere

Perché il pensiero delle separazioni -alias dualismo oppositivo- ci impedisce di evolvere?  

Mi è successa una cosa che spiega benissimo dove e come possiamo incastrarci nel dualismo oppositivo, senza neanche accorgercene.

Visita ginecologica di controllo, dopo il mio primo parto. Domande di rito...

«Signora, sta allattando?»

«Sì.»

«Ok, quindi niente capoparto ancora?» (Capoparto = prime mestruazioni dopo il parto. Di solito l'allattamento lo ritarda, nel mio caso no)

«No, è arrivato il giorno x» (a tre mesi dal parto)

«Cooosaaaa? Ma lei non deve continuare ad allattare, deve smettere!»

«Scusi ma la mia bimba ha solo tre mesi, io non intendo smettere, è troppo presto.»

«Le spiego: ora che le sono tornate le mestruazioni il suo corpo le dice che NON È PIÙ DEL SUO BEBÈ. ORA È DI NUOVO FERTILE E QUINDI È TORNATA DI SUO MARITO.»

Inutile dire che quella ginecologa non mi ha più vista. 

Ma analizziamo le implicazioni della sua affermazione. 

Devo specificare: il suo era un orientamento steineriano, nel quale, ho constatato, sull'allattamento la si vede un po' così (pure il pediatra, del medesimo orientamento, mi fece lo stesso discorso). Lo puntualizzo per le ginecologhe che potrebbero leggere e chiederselo, ma non è questo il punto: quello che mi interessa è l'idea di identità sottostante a queste affermazioni.

Facciamo attenzione: l'identità, ancora oggi, è uno dei principali terreni di applicazione del dualismo oppositivo, uno degli ambiti in cui ha più presa. E il dualismo oppositivo è una "logica di guerra". Non a caso, quindi, l'identità – narrata in questo modo – è anche una delle cause scatenanti conflitti e massacri.

“O sei madre o sei amante”.

“O sei del tuo bebè o sei di tuo marito”.

Ci sono così tante cose che non vanno in questo punto di osservazione...

Per cominciare, io non sono né del mio bebè, né di mio marito. Io sono di me stessa, semmai ho un certo tipo di relazione con i suddetti soggetti. Ma chi prende decisioni per il mio corpo devo restare io.

Accertato questo, guardiamo quel "o questo o quello". Praticamente la dottoressa diceva: “Non puoi essere madre in quella fase e al tempo stesso amante”. 

                       


Perché mai? Dietro a questo concetto c'è un'idea di identità monolitica, unica. Problema diffuso assai. Io insisto a predicare che si tratta di un'idea illusoria: l'identità è più simile a un cristallo, che ha molte facce, persino situate in posizioni apparentemente opposte tra loro, ma che non intaccano minimamente la solida unità del cristallo. Siamo tutte e tutti “uno”, unici con le nostre forme geometriche e il nostro colore. Ma sicuramente con la capacità di far coesistere più aspetti.

Per cui sono madre e posso anche essere amante, senza che il mio corpo per questo esprima disagio (suvvia!!). E sono anche molto altro: ho la mia identità professionale, ho quella spirituale che condivido qui in modo massiccio. Poi ancora ho quella artistica, sono una writer/street artist. Ho quella musicale: sono (stata) una percussionista in un gruppo di percussioni. Sono una pattinatrice ed escursionista.

Eccetera.

Tutti questi aspetti di me concorrono a rendere bello e unico il mio cristallo. Senza bisogno di appiattirmi su un'unica faccia, che è ciò che di solito si fa quando si ha paura di non avere un'identità. 

Il cristallo sa tenere insieme tutto, per natura. Non può che essere il corpo unico e unito che è. Per cui l'aut aut, “o questo o quello”, diventa “e questo, e quello e altro ancora”. 

Il cristallo splenderà sotto il sole che si sposta nel cielo e, con il mutare della luce nel corso del giorno, ciclicamente brillerà maggiormente una faccia o l'altra. Senza che questo intacchi ciò che è, la sua bellezza.

Sai tornare consapevole dell'unicità che sei, con tutte le tue facce?

Riesci a riconoscere le trappole del dualismo oppositivo, alias "pensiero delle separazioni"?


Ⓒ Laura Ghianda

Revisione Testi: Jessica Favaro 

Immagine: wingsofcompassion per pixabay.com

lunedì 8 febbraio 2021

Crudeltà delle donne nei confronti delle altre donne. La ferita che non vuol guarire.

 LA FERITA TRA DONNE CHE NON VUOL GUARIRE

Ieri sono andata a dormire tardi perché ho ri-letto i capitoli sulla relazione "madre-figlia" all'interno di un libro che dovrebbe essere obbligatorio per ogni donna che vuol lavorare con altre donne, in qualsiasi forma: 

Phyllis Chesler, "Donna contro Donna - rivalità, invidia e cattiveria nel mondo femminile", Oscar saggi Mondadori


L'autrice, femminista e psicologa, affronta il tema con un taglio proprio psicologico e psicoanalitico. 
Questo libro ha esattamente 20 anni.

Ma l'argomento continua a essere l'elefante nella stanza. 

La relazione con la propria madre o con la propria figlia (o entrambe) È una questione enorme. E finisce per influenzare la relazione con le altre donne che incrociamo. 

Questo dimostra chiaramente questo testo.

Ripercorrendo le esperienze mie, o assistendo oggi a quelle di donne a me vicine, le dinamiche si ripetono uguali e uguali e uguali, in tutte le loro varianti, ma sempre quelle.

E non si va affatto dritte sull'origine. 

Una donna con una tazza di te, in stile anni 50, da il benvenuto nel cerchio alla lettrice chiedendo "ora dimmi in che misura sei conscia dei tuoi traumi passati e delle tue emozioni represse, in particolare in relazione alla tua madre biologica. E parlami di come stai attivamente lavorando su te stessa per risolverli prima ancora di provare a proiettare quel bagaglio di merda e insicurezze su di me o sulle altre donne"



Temo si finisca troppo spesso per bypassare tutto tramite l'idealizzazione della "sorellanza", che l'autrice definisce "la ricerca della "madre buona" nelle altre figure femminili".
Ecco che interviene la frettolosa ed eccessivamente entusiasta convinzione di averla trovata, cosa che poi, al naturale emergere dell'umanità di tutte, rischia di tramutarsi in rovinosa "caduta degli dei".
Con il rivivere del trauma. Ma perché siamo in un ripetersi di ruoli e schemi disfunzionali e non nella realtà, che è molto più "normale" e meno edulcorata. Ma anche potenzialmente meno tragica di ciò che può essere un difficile vissuto madre-figlia. 

Perché l'altra donna non è davvero tua madre.


Alla "madre buona" cercata nelle sorelle corrisponde perfettamente la proiezione della "madre cattiva" nell'altra,  a cui appunto sono dedicati 3 capitoli: uno sulla mitologia, uno sugli aspetti psicoanalitici e uno sulla persecuzione materna della figlia sufficientemente buona.
Detto in breve, parla di tutti gli strascichi che le relazioni difficili con le nostre madri lasciano.
Faccio una lista di argomenti che l'autrice tratta, dove ciascuna potrà certamente riconoscersi, che mostra quanto questo elefante sia grosso:

-la paura dell'essere sostituite;

- le gelosie sulla fertilità; 

-l'impedire all'altra di provare ciò che non si è potuto avere (madre tiranna); 

-l'impossibilità di perdonare gli errori, con conseguente senso di inferiorità rispetto a un'immagine irrealistica, altamente idealizzata (e infatti qui ci incastriamo. O l altra fa perfettamente ciò che riteniamo essere l'ideale, o le nostre aspettative, o la massacriamo. O la perfezione o l'infamia. Altro che corso di autostima femminile);

-il desiderio di essere "la figlia preferita" a cui vengano dedicate attenzioni speciali;

-il non voler che le altre diventino diverse da te ("stai nascosta e anonima come noi" - ferita della visibilità) - fino al vivere la differenziazione come rifiuto ("se non sei come me mi stai negando");

-le denigrazioni di gruppo come strumento di disciplina verso la donna "colpevole"; si, lo facciamo;

-la ferita del potere, per cui "mi sento forte solo se distruggo o abuso a mia volta";

-l'uccidere la madre per "diventare lei" o il credere di doverlo fare come unico modo per realizzarsi;

-l'invidia come reazione al senso di colpa;

-la "matrifobia", la paura di ereditare il carattere della nostra madre, che si tramuta in odio verso le altre donne; 

-il timore e desiderio di distruzione -anche in gruppo- delle donne "troppe", troppo potenti, o troppo autorevoli, carismatiche, brillanti, riconosciute;

-la proiezione nella Dea (lei parla di Dio ma è uguale) della madre che sempre accoglie e sempre dice di si. 
Questo vale molto anche per gli uomini, vedi guru affermati che impazziscono laddove il femminile si discosta da questa eterna accoglienza;

-il terrore (e qui ho una ferita personale ancora aperta) di vedere "l'amazzone trasformarsi in invalida" (cit.);

-il "muori, così posso vivere";

-la "presa in prestito" del lavoro altrui senza fonte (l'autrice riporta molte sue esperienze a riguardo) e le reazioni delle "figlie" al farlo notare;

-il sostituire la madre spirituale invece di affiancarla;

-l'invidia come incapacità di ammirare la donna di successo;

-il sostenere a parole l'importanza di ruoli e archetipi femminili ma senza riconoscere o sopportare "le madri" (o questi ruoli in donne diverse da noi);

-la pretesa del "sacrificio emotivo" ("se ho potuto sopportarlo io puoi sopportarlo anche tu")...

Madre in primo piano e figlia che le da le spalle, guardando altrove
Foto: prettysleepy1 per pixabay.com



La costante che l'autrice riporta, è il non vedere in noi questa ombra. E il non rendersi conto del male che questo fa alle altre.
Perché se fino ad ora leggendo questa lista hai richiamato situazioni in cui hai subito, il lavoro però lo si fa se si è disposte a guardare nell'altra direzione, chiedendosi:

"Quanto sono stata io la causa di queste situazioni?"
E quindi: 
"Come ho vissuto il rapporto con mia madre? Quali sono i miei temi, i miei irrisolti con lei? Punisco le altre donne perché non riesco a punire lei di ciò che mi ha fatto?
Quanto è doloroso affrontare questo argomento? Sono disposta a farlo per migliorarmi e riconoscere la proiezione del rapporto con mia madre (o delle mie aspettative di "madre ideale") nelle altre donne?"

Io mi riconosco. E ho scelto di scusarmi e mettere un obiettivo di etica nel mio agire. 

L'elefante nella stanza.
Che troppo in fretta e maldestramente in ambito spirituale si nasconde con ritualini di dichiarazioni di perdono e filastrocche sul "lasciare libera", pratichine suggestive forse, ma che non esauriscono il lavoro da fare.

Ecco.
Sempre di più sono convinta che ci sia un unico modo per aver speranza di invertire questa rotta, finalmente.
Cominciare coraggiosamente da qui.
Anche se scomodo.

Affrontare l'argomento in ogni training, che necessariamente poi andrà approfondito in sede di psicoterapia, perché cerchi e percorsi iniziatici NON SONO PSICOTERAPIA DI GRUPPO.

Brigid, Dea di questo periodo, è anche guarigione.
Quanto sei disposta a impegnarti per guarire questa ferita? 
O quanto a pagare il prezzo del lasciare che sia la ferita a scegliere e agire al posto tuo?


Credit: la frase nel meme creato da me fa il verso a un altro celebre meme sulla "domanda da fare al primo appuntamento", autrice o autore ignota/o e non me ne prendo il merito. Io l'ho solo adattata all'argomento. 

©️ i contenuti di questa pagina sono protetti dalla normativa vigente sul copyright

mercoledì 3 febbraio 2021

Perché poesia e parola sono sacre? Brigid e Imbolc

LA FIAMMA DI ISPIRAZIONE DI BRIGID - PAROLA E POESIA - SIMBOLI E SIGNIFICATI 

Brigid era anche "Dea della poesia". Ma perché la poesia è sacra?

Dopo aver condiviso ieri il perché la fucina mi fa battere il cuore, oggi condivido cosa del significato profondo della poesia sacra di Brigid mi ha fatto innamorare.

Vale lo stesso discorso fatto per i fabbri: non dobbiamo credere che basti immaginare la Dea che posa la manina sopra i poeti affinché questi ne risultino ispirati, perché c'è molto di più.

Quel ramo d'argento con i sonagli che vedi in foto, parte di un mio spazio dedicato a Brigid, è il remake moderno fatto in casa di un oggetto che la tradizione vuole annunciasse e concludesse le parole poetiche del bardo. Si agitava e suonava prima e dopo. Come in un rituale. 
Chi è un po' avvezzo di magia lo saprà: la parola è sacra. E potente.
Ma perché?
Non perché "è scritto sui libri quindi deve essere vero", per cominciare. Anzi.
Gli antichi non scrivevano, almeno non nel modo in cui lo facciamo noi oggi.

E non perché non ne fossero capaci. 
Per lo stesso motivo per cui, appunto, la parola è sacra.

E ci colleghiamo con il solito principio della Dea su cui insisto molto (no, non è la fertilità):

Mutamento. E Creazione.

La parola muta la realtà. E come lo fa? Creandola. 
La funzione narrativa è molto più che intrattenimento, solo oggi stiamo ricominciando a comprenderla nel profondo.

La parola crea immagini. Le immagini creano realtà. Ci indirizza lì,  poco da fare!
Ciò che non nomini cessa di esistere, perché funziona anche al contrario.

E la realtà è mutevole, le parole dunque sono danzatrici che muovono le loro punte sulle onde di questo mutamento. Lo seguono e interagiscono, fino a darci direzione.
Darci direzione, ho detto. Sacro compito umano. 
"Freccia ardente" era uno dei suoi epiteti, e la freccia questo simboleggia. 

Ecco perché io insisto così tanto sulle narrazioni. Sul non fermarsi alle vecchie narrazioni pretendendo che la realtà che creano vada ancora bene oggi.
Perché la parola -anche nel sacro- deve essere in grado di rispondere ai temi e alle difficoltà di una data epoca, per le peculiarità di quella data epoca. 

E c'è un aspetto un più. Non la parola "e basta".
La poesia, i canti, quindi un certo tipo di parola.
Che è potente perché parla un linguaggio capace (e puoi sperimentarlo anche tu) di unire il cuore e la mente, l'estasi e il cervello. Hai mai provato a scrivere in uno stato poetico?
Provaci, allenati. Per farlo devi ESSERLO in uno stato "poetico". 
Attraverso quelle parole puoi arrivare a toccare livelli profondi, "scatenare tempeste", facilitare esperienze di straordinarietà. 
E questo accade quando chi crea dette parole è in uno stato di connessione.

La poesia non è "semplice logos". E il linguaggio dell'esperienza in grado di creare esperienza. 

Allora è anche qualcosa di più di semplice ispirazione, per come la intendiamo noi oggi. Quelle parole, per un principio di "immanenza", SONO la Dea. 
Sono Brigid, per chi così la vuole chiamare. 

E poi c'è la memoria. Narrare in modo poetico degli antichi, per tutto ciò che è stato detto fin'ora, è mantenere in vita loro e la loro saggezza. Fare in modo che il loro essere danzi con la Creazione di "oggi". 
Potente.

Non limitarti al modo in cui si scrive di significati e simboli. Farne esperienza è parte della ricerca. 
Oggi si ripetono un sacco di parole senza sentimento.
Persino trovi libri che ti suggeriscono cosa dovresti dire per fare quale rituale, ma non si soffermano su tutto il resto: e le emozioni? E il perché proprio quelle parole? E il come dirle? In che stato d'animo? E il sentire il loro significato dentro cosicché l'uscita di quei suoni dal tuo corpo veicolino anche tutta la potenza che ti evocano?

Zero. 
Di questo tutti quei libri non parlano mai. 
Perché siamo rimaste/i nella superficie, un po' come si diceva col post di ieri sulla forgia.
L'apparenza sconnessa dalla sostanza.

E allora oggi, nel giorno della Candelora, auguro che l'umanità sappia fare il salto di cui parlavo anche nella mia newsletter. Imparare a padroneggiare tutto questo con profondità, saggezza e consapevolezza di essere esseri creatori. 

Dove trovare la mia newsletter? Qui www.subscribepage.com/lauraghianda 

©️i contenuti di questa pagina sono protetti dalle norme vigenti in materia di copyright

martedì 2 febbraio 2021

Perché Brigid è la "Dea della Fucina e dei Fabbri"? - IMBOLC

Buona celebrazione del risveglio, amica e amico.

Lo sai cosa rappresenta il fuoco della fucina di Brigid?

Perché si parla di "fuoco della fucina", di forgia?


Sai che a me piace andare nel profondo, capire bene i perché e i significati delle cose, perché se altrimenti ci limitiamo all'immagine superficiale... perdiamo parecchio.

Ogni simbolo nuovo che capiamo profondamente ci permette di vedere la realtà in modo differente.
Oggi vorrei dire cosa mi fa battere il cuore davanti al simbolo della fucina legata alla Dea Brigid, che in tutta Europa è pressoché universalmente associata alla celebrazione di oggi, Imbolc, assorbita poi nella Candelora dal cristianesimo.


Bene. Dei tre fuochi di Brigit (o Brigid, o Brida, o Brighit, o tutte le mille varianti, sempre lei è) abbiamo quello della fucina, dicevamo.

"Brigid patrona dei fabbri".

E a mò di funzionamento dei santi cattolici, tutti a pensare che lei metta la manina sopra i fabbri e che li protegga.
Si anche, ma è solo un pezzettino della storia.

Certo, in un mondo non separato tra sacro e profano gli utensili hanno tutto il loro perché, sono importanti, permettono di vivere la quotidianità più facilmente.


Ma c' è altro in quella fucina che l'ha resa sacra al punto che il suo fuoco e calore è associato a una Dea.
Ed è precisamente una delle parole chiave di tutta la ricerca della Dea tout-court, che se ci fai caso, tornerà sempre:

Cambiamento. Mutamento.

Il fuoco è ciò che permette il cambio di stato. 
Una pietra grezza diventa metallo. Il metallo, grazie al lavoro umano (lavoro umano - dettaglio tutt'altro che insignificante, facci caso!), diventa utensile. 

Cambio di stato ragazze e ragazzi!
Mica bazzecole. 

E come avviene quel cambio di stato?

Il calore scinde il minerale grezzo. 
Ne porta a galla le impurità, così che possano essere viste e rimosse.
A quel punto resta il metallo puro che potrà prendere la forma desiderata. 

Ciò che è fuori è anche dentro, e viceversa.

Questa è la descrizione di un processo alchemico anche interiore.
E c'è dell'insegnamento.

Noi tutte e tutti siamo minerali in qualche percentuale di grezzo: come ci rapportiamo a questo processo?

Tutti dicevano da subito che "il covid porterà fuori il meglio di noi".
Non ci ho mai creduto e anzi: se ascoltavo in profondità quel che mi pareva la voce di questo piccolo essere, io sentivo altro: "vedrai, uscirete tutti come siete veramente".

Un anno dopo vedo proprio questo. Ci sentivo giusto.
Stanno emergendo le nostre scorie, ciò che va visto per essere affrontato.

Ma invece che preoccuparcene, la lezione di Brigid (connessa non a caso anche con la guarigione) non è colta anzi.
Si spinge affinché quelle scorie così diffuse siano considerate "il modo giusto", perché in una cultura che mortifica l'errore, non si vuol vedere ciò che facciamo come errori. Cerchiamo di legittimarli. 

Ecco come siamo messi oggi.

Troppe correnti spirituali "alternative" spingono per questa rimozione: "non guardare quelle scorie o vibrerai basso" ( = "non parlare dei tuoi problemi/non lamentarti/non provare emozioni "negative"). 
"Aspetta il tal giorno e la tal data che si aprirà il portale e faremo tutti un salto evolutivo".

No. 
Non è questo che insegna la fucina di Brigid. 
Ricordi l'accenno al "lavoro umano"?

Non è un simbolo messo a caso, ma l'indicazione che il lavoro da fare richiede un'azione attiva. Una scelta. 
Il libero arbitrio.

"Io fornisco il terreno. Tu devi piantare il seme". 
Questo è un assunto, in questo tipo di ricerca dove il libero arbitrio umano e l'agire con intento è ciò che lo rende un essere divino.

Non l'attesa passiva di eventi o persone salvifiche.
Tantomeno il girare il muso dall'altra parte per non guardare ciò che emerge.

Dipende da noi.

Ed è qui che mi inserisco io con la mia pagina e il mio lavoro: è qui che insisto sul ruolo umano, sull'energia attiva che non è solamente maschile perché tutte e tutti l'abbiamo ricevuta in dono (non a caso abbiamo una Dea qui a suggerircela, Dea del fuoco e del sole), perché tutte e tutti dobbiamo fare questo lavoro. In questo sta l'abbracciare la nostra divinità. 

Se vogliamo che il nostro metallo sia sempre più puro. Splendente. Utile. A noi stesse /i e al mondo.

Buon Imbolc/Candelora dunque.

E che tu possa portare nella vita questa lezione.

Laura Ghianda

© Il materiale di questa pagina è protetto secondo le norme vigenti in materia di copyright.

Immagine: Enlightening_Images per pexels.com