LA FERITA TRA DONNE CHE NON VUOL GUARIRE
Ieri sono andata a dormire tardi perché ho ri-letto i capitoli sulla relazione "madre-figlia" all'interno di un libro che dovrebbe essere obbligatorio per ogni donna che vuol lavorare con altre donne, in qualsiasi forma:
Phyllis Chesler, "Donna contro Donna - rivalità, invidia e cattiveria nel mondo femminile", Oscar saggi Mondadori
L'autrice, femminista e psicologa, affronta il tema con un taglio proprio psicologico e psicoanalitico.
Questo libro ha esattamente 20 anni.
Ma l'argomento continua a essere l'elefante nella stanza.
La relazione con la propria madre o con la propria figlia (o entrambe) È una questione enorme. E finisce per influenzare la relazione con le altre donne che incrociamo.
Questo dimostra chiaramente questo testo.
Ripercorrendo le esperienze mie, o assistendo oggi a quelle di donne a me vicine, le dinamiche si ripetono uguali e uguali e uguali, in tutte le loro varianti, ma sempre quelle.
E non si va affatto dritte sull'origine.
Temo si finisca troppo spesso per bypassare tutto tramite l'idealizzazione della "sorellanza", che l'autrice definisce "la ricerca della "madre buona" nelle altre figure femminili".
Ecco che interviene la frettolosa ed eccessivamente entusiasta convinzione di averla trovata, cosa che poi, al naturale emergere dell'umanità di tutte, rischia di tramutarsi in rovinosa "caduta degli dei".
Con il rivivere del trauma. Ma perché siamo in un ripetersi di ruoli e schemi disfunzionali e non nella realtà, che è molto più "normale" e meno edulcorata. Ma anche potenzialmente meno tragica di ciò che può essere un difficile vissuto madre-figlia.
Perché l'altra donna non è davvero tua madre.
Alla "madre buona" cercata nelle sorelle corrisponde perfettamente la proiezione della "madre cattiva" nell'altra, a cui appunto sono dedicati 3 capitoli: uno sulla mitologia, uno sugli aspetti psicoanalitici e uno sulla persecuzione materna della figlia sufficientemente buona.
Detto in breve, parla di tutti gli strascichi che le relazioni difficili con le nostre madri lasciano.
Faccio una lista di argomenti che l'autrice tratta, dove ciascuna potrà certamente riconoscersi, che mostra quanto questo elefante sia grosso:
-la paura dell'essere sostituite;
- le gelosie sulla fertilità;
-l'impedire all'altra di provare ciò che non si è potuto avere (madre tiranna);
-l'impossibilità di perdonare gli errori, con conseguente senso di inferiorità rispetto a un'immagine irrealistica, altamente idealizzata (e infatti qui ci incastriamo. O l altra fa perfettamente ciò che riteniamo essere l'ideale, o le nostre aspettative, o la massacriamo. O la perfezione o l'infamia. Altro che corso di autostima femminile);
-il desiderio di essere "la figlia preferita" a cui vengano dedicate attenzioni speciali;
-il non voler che le altre diventino diverse da te ("stai nascosta e anonima come noi" - ferita della visibilità) - fino al vivere la differenziazione come rifiuto ("se non sei come me mi stai negando");
-le denigrazioni di gruppo come strumento di disciplina verso la donna "colpevole"; si, lo facciamo;
-la ferita del potere, per cui "mi sento forte solo se distruggo o abuso a mia volta";
-l'uccidere la madre per "diventare lei" o il credere di doverlo fare come unico modo per realizzarsi;
-l'invidia come reazione al senso di colpa;
-la "matrifobia", la paura di ereditare il carattere della nostra madre, che si tramuta in odio verso le altre donne;
-il timore e desiderio di distruzione -anche in gruppo- delle donne "troppe", troppo potenti, o troppo autorevoli, carismatiche, brillanti, riconosciute;
-la proiezione nella Dea (lei parla di Dio ma è uguale) della madre che sempre accoglie e sempre dice di si.
Questo vale molto anche per gli uomini, vedi guru affermati che impazziscono laddove il femminile si discosta da questa eterna accoglienza;
-il terrore (e qui ho una ferita personale ancora aperta) di vedere "l'amazzone trasformarsi in invalida" (cit.);
-il "muori, così posso vivere";
-la "presa in prestito" del lavoro altrui senza fonte (l'autrice riporta molte sue esperienze a riguardo) e le reazioni delle "figlie" al farlo notare;
-il sostituire la madre spirituale invece di affiancarla;
-l'invidia come incapacità di ammirare la donna di successo;
-il sostenere a parole l'importanza di ruoli e archetipi femminili ma senza riconoscere o sopportare "le madri" (o questi ruoli in donne diverse da noi);
-la pretesa del "sacrificio emotivo" ("se ho potuto sopportarlo io puoi sopportarlo anche tu")...
Foto: prettysleepy1 per pixabay.com |
La costante che l'autrice riporta, è il non vedere in noi questa ombra. E il non rendersi conto del male che questo fa alle altre.
Perché se fino ad ora leggendo questa lista hai richiamato situazioni in cui hai subito, il lavoro però lo si fa se si è disposte a guardare nell'altra direzione, chiedendosi:
"Quanto sono stata io la causa di queste situazioni?"
E quindi:
"Come ho vissuto il rapporto con mia madre? Quali sono i miei temi, i miei irrisolti con lei? Punisco le altre donne perché non riesco a punire lei di ciò che mi ha fatto?
Quanto è doloroso affrontare questo argomento? Sono disposta a farlo per migliorarmi e riconoscere la proiezione del rapporto con mia madre (o delle mie aspettative di "madre ideale") nelle altre donne?"
Io mi riconosco. E ho scelto di scusarmi e mettere un obiettivo di etica nel mio agire.
L'elefante nella stanza.
Che troppo in fretta e maldestramente in ambito spirituale si nasconde con ritualini di dichiarazioni di perdono e filastrocche sul "lasciare libera", pratichine suggestive forse, ma che non esauriscono il lavoro da fare.
Ecco.
Sempre di più sono convinta che ci sia un unico modo per aver speranza di invertire questa rotta, finalmente.
Cominciare coraggiosamente da qui.
Anche se scomodo.
Affrontare l'argomento in ogni training, che necessariamente poi andrà approfondito in sede di psicoterapia, perché cerchi e percorsi iniziatici NON SONO PSICOTERAPIA DI GRUPPO.
Brigid, Dea di questo periodo, è anche guarigione.
Quanto sei disposta a impegnarti per guarire questa ferita?
O quanto a pagare il prezzo del lasciare che sia la ferita a scegliere e agire al posto tuo?
Credit: la frase nel meme creato da me fa il verso a un altro celebre meme sulla "domanda da fare al primo appuntamento", autrice o autore ignota/o e non me ne prendo il merito. Io l'ho solo adattata all'argomento.
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