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giovedì 27 novembre 2014

Il peso delle aspettative

Qualche giorno fa, lessi su Facebook un post che suonava circa "incontrerai persone che ti ameranno per come sei. E incontrerai persone che ti odieranno per lo stesso motivo, fattene una ragione.".
Magari. 

Io credo che spesso accada questo: "incontrerai persone che ti ameranno per quello che sperano che tu sia. E incontrerai persone che ti odieranno, sempre per quello che sperano che tu sia. E questo è un gran casino".


Le aspettative che abbiamo nei confronti degli altri, sono un fatto normale. Credo scattino inconsciamente e inconsapevolmente per la maggior parte delle volte, e in tutti noi. Me compresa.
Allo stesso tempo, vissute "dall'altra parte", ovvero dal punto di vista della persona che è investita di tali aspettative, positive o negative che siano, sono una gabbia terribile.
Perchè impediscono l'espressione della propria identità, limitano la radianza della propria realtà, costringono ad assumere un ruolo "involontario", quasi sempre eccessivo. Un'idealizzazione in positivo, o in negativo.
Qualche esempio "in positivo". Penso a Glastonbury, quando la mia tutor è stata investita di ruoli fantasmagorici da film, che l'hanno voluta una sorta di "impeccabile infallibile maestra spirituale, una Somma Sacerdotessa senza macchia e senza paura, che sa e vede tutto; penso a quello che volevo fosse il mio fidanzatino da adolescente, l'uomo perfetto dei miei sogni; penso alla nostra "amica perfetta", la persona stupenda che è proprio "come la vogliamo noi".
Poi però, la delusione è direttamente proporzionale all'intensità della nostra idealizzazione. La mia tutor, è diventata un mostro che ha plagiato con il suo carattere forte le persone a seguirla, traumatizzandole; il mio fidanzatino è diventato il peggior stronzo sulla faccia della terra, che "è cambiato" deludendomi; l'amica perfetta ci ha "tradito" rivelandoci cose che "non ci aspettavamo di vedere".
Anche la nostra delusione, è proiettata: è l'altro a deluderci, mica siamo noi, ad esserci fatti un'idea sbagliata.

E poi ci sono le aspettative in negativo: una disumanizzazione che avviene quotidianamente nelle nostre vite e nella nostra cultura, a livello personale e anche collettivo, ogni qual volta decidiamo che "l'altro" è nostro nemico. Ne ho sofferto anche io, quando da "meravigliosa persona perfetta" mi sono con altrettanta velocità ritrovata a incarnare "la stronza perfetta", capace di ogni diavolo di stregoneria, maleducata, opportunista, persino accusata "di voler fregare mariti" (!), insomma la peggiore persona del mondo. E poco importa, cosa io provassi. Chissenefrega, di cosa l'altro davvero pensi. Poco importano i suoi reali sentimenti. Perchè l'idealizzazione, una volta che avviene, è difficilmente revocabile.
E' incredibile cosa ci inventiamo, per trovare "LE PROVE" che quel che pensiamo dell'altro sia vero! Dal modificare "parole udite", a vedere "significati nascosti" tra le righe, al romanzare fatti accaduti credendoci davvero, alla nostra nuova versione.
Non si vuole veramente conoscere l'altro. Si vuole che l'altro reciti nel teatro del nostro bisogno, in un impulso a sperimentarci in un gioco di ruoli. Una sorta di costellazione familiare dove però, i ruoli non sono concordati, non sono condivisi e non sono chiari. 


Entrambi i tipi di idealizzazione, in "positivo" o "in negativo" che siano, fanno di fatto sparire il lato "umano", normale, della persona che abbiamo di fronte. Sono modalità che servono a noi. Funzionali a un nostro "bisogno": di vedere come reale ciò che è un nostro desiderio. O di vedere, sempre come reale, il cattivo di cui necessitiamo, così che noi possiamo sentirci "più giusti, più buoni, più puri, più leali, più vittime". 
Piaccia o no, l'idealizzazione è puramente un bisogno egoistico. Sono sempre e solo nostre proiezioni. 
Cose che vengono dall'interno di noi, e che noi proiettiamo nella realtà. Ma che non sono la realtà.
Talvolta servono solo a tenere vive le speranze, penso a quando necessitiamo che il nostro ideale di essere umano "esista davvero nella pelle di qualcuno", per avere un esempio da seguire. Ma è un'illusione, perchè appena l'altra persona mostrerà il suo volto umano (ed è inevitabile che accada, siamo tutti umani!), la speranza si infrangerà in mille pezzi, e i sentimenti si capovolgeranno diametralmente.
Più spesso serve a scappare dalla lezione di vita che non vogliamo apprendere: è una forma di difesa, laddove la realtà fa troppo male, o laddove dovremmo vedere qualcosa che metterebbe troppo in discussione tutto ciò che crediamo ci stia proteggendo. 




E' da un pò che penso a queste questioni. Dal tempo del fidanzato della mia adolescenza di cui scrivevo lassù. Eppur, ogni volta è una doccia fredda, quando mi accorgo di quanto anche io idealizzi gli altri, o quando capita che qualcuno idealizzi me.
Penso che l'apertura "pura" sia quasi una chimera. Che sia davvero difficile da praticare, perchè semplicemente non esiste un'"oggettività". Ciò che guardiamo, sarà sempre filtrato dalle lenti del nostro mondo interiore. 
Eppur, penso si possa migliorare, quantomeno partendo dal ripeterci che chi abbiamo davanti, è pur sempre un essere umano. Potrà piacerci, o non piacerci affatto. Ma forse possiamo fare a meno di "assolutizzare", di proiettarci il sommo bene o il sommo male. 
Se non riusciamo a "svelare il trucco", il rischio è di continuare a perpetuare una catena di relazioni con il mondo che è sempre la stessa: questo ripetersi di ruoli ideali con cui ci confrontiamo, di fatto, ci impedisce di crescere e andare oltre. 

Accade ovunque. Ma accade ancora di più, nel campo della spiritualità. Teniamone conto.
Siamo noi, quello che noi ricerchiamo come esempio. Ciascuno di noi può avvicinarsi sempre di più a ciò che desidera essere. Non dobbiamo chiedere a un altro che ci investa di questo potere: ce lo abbiamo noi quel potere. Usiamolo. 
Credo che questa sia una chiave importante che possa aprire molte porte.