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lunedì 30 dicembre 2019

Frozen 2 recensione alternativa: trama, simbolismo e altra narrazione

Disney ha fatto il botto. 
Preparatevi al sequel meglio riuscito nella storia della Disney, scordatevi Cenerentole che puliscono i pavimenti del castello anche se ormai diventate principesse e discutibili sirenette cattive (si, l'hanno fatto davvero). Questa volta abbiamo un capolavoro.
Sapete, io recensisco solo le storie che offrono narrazioni differenti in grado potenzialmente di influenzare il mondo di oggi e quello di domani.
"Frozen 2 - Il segreto di Arendelle" mi è piaciuto più del primo e non solo per l'indiscutibile salto grafico e di animazione.
Ecco perché.
(ATTENZIONE SPOILER!)

When the north wind meets the sea
there's a Mother full of memories
come, my darling, homeward bound
when all is lost, then all is found

Il film inizia con uno spaccato sull'infanzia delle due sorelle, che inscenano un gioco avventuroso tra fate e castelli. Un'ottimo espediente per descrivere la differenza di carattere e temperamento, ma anche un'introduzione al mistero la cui risoluzione sarà oggetto di tutta la narrazione: una foresta incantata, l'infanzia del re padre, una presunta alleanza tra gli arendelliani e il popolo dei northuldri, indigeni in comunione con la natura e la foresta al punto che i suoi spiriti offrivano loro la loro magia.

Abbiamo subito il tema dominante: la dicotomia natura - cultura.

Il re racconta alle piccole di quando, da bambino, fu condotto presso la foresta incantata per suggellare l'alleanza tra suo padre il re (nonno di Elsa e Anna)  e il capo indigeno tramite l'offerta di una diga. Ma qualcosa successe per cui i due popoli cominciarono a combattere, il re padre morì e lui fu salvato da una creatura misteriosa. Ma da allora, in seguito all'ira degli spiriti, la foresta divenne impenetrabile, difesa da una cortina di nebbia. Nessuno ne uscì, nessuno ne tornò.


Eccoci alla prima canzone del film, "All is found", una ninnanana cantata dalla mamma di Anna ed Elsa, la canzone più bella del film (non riesco a smettere di cantarla!): melodia celtica, parla di questo fiume misterioso, in inglese coniugato al femminile, Ahtohallan, che serba memoria del passato. Ha tutte le risposte si, ma se ci si spinge oltre si incontrerà morte certa.
E comincia il simbolismo: l'acqua per la sua capacità di tenere memoria, cosa che è impossibile che sfugga: Olaf lo ricorderà di continuo. Madre fiume, la cui verità può rivelare le tue peggiori paure: sarai pronta/o ad affrontare ciò che Lei conosce? Il testo inglese sottolinea molto l'aspetto della "prova", cosa che in italiano scorre un po' veloce.

Faccio appena un accenno sulla fatica di ascoltare la traduzione delle canzoni. Per stare dietro al labiale dei personaggi perdono pezzi di senso: che pazienza. Se potete, ascoltatele in lingua originale. (Anche nel primo film, la traduzione italiana perde del tutto il concept "porte aperte e porte chiuse).

Dicevamo...
Sulle note di "All is found" avviene il salto temporale, da allora all'oggi, con una regina Elsa con un abito da sogno "viola Avalon" e subito una nota d'humour: mentre lei è assorta affacciata al balcone un messaggero viene a chiamarla e lei si spaventa, congelandosi le mani sulla ringhiera.
L'humour danza sapientemente con emozioni profonde e drammatiche per tutta la durata del film.
E infatti, è immediatamente dopo che Elsa inizia a sentire "la voce" (cosa su cui, in seguito, Olaf farà  ulteriore humour riferendosi a "Elsa che sente le voci").



Uno scorcio su Arendelle oggi: splendidi colori autunnali, un dipinto di calma, armonia e felicità condito da immancabile canzone. Anna chiacchiera con Olaf il quale si perde in riflessioni filosofiche, Kristoff "parla" con Sven della sua volontà di chiedere la mano ad Anna (da scompisciarsi per la sua imbranataggine ma anche quando "si esercita" con Sven e i presenti coprono gli occhi ai bambini credendo si tratti di un pervertito). 
Zucche, banchetto, tutti felici.
Segno che Disney sta prendendo distanza dalle narrazioni a senso unico di fanciulle inquadrate nei soliti stereotipi di genere, non sfugga che Elsa, nel creare regali di ghiaccio per i bambini durante la festa, forma un sestante per una femminuccia su sua richiesta.
Fa un po' sorridere che con un passato di segregazione le due sorelle siano ora così serene e equilibrate, in un'epoca in cui la psicoterapia non era stata mica inventata, ma facciamo finta di niente.

"Cosa può cambiare in questa meraviglia?" 
Ovviamente tutto. Nuovamente.
Nonostante Olaf calchi la mano sull'essere grandi e maturi sono passati solo 3 anni dal tempo del primo film (sei dalla morte dei genitori, si dirà).

Scena di intimità famigliare: dentro al castello si tiene il gioco dei mimi, tra Kristoff, Sven, Elsa, Anna e Olaf. Ho apprezzato molto la presa in giro, da parte di Olaf, dell'Elsa esageratamente ancheggiante di Frozen 1, per me gran caduta di stile in quel film (notate la reazione di Elsa). 
Quando poi è il turno della regina, questa è impacciatissima nei movimenti, altra scena esilarante. Che però termina in fretta: Elsa sente di nuovo la voce e si inquieta. 





Elsa se ne va, la sorella la raggiunge e si addormentano insieme sulle note della ninnananna della mamma. Ma la voce disturba il sonno della regina. 
Si dia il via alla canzone che prenderà il posto di "Let it go": "Into the unknown". Bellissima, con un'animazione che vista sul grande schermo mette i brividi.
In tutta la canzone si risolve il dramma di Elsa: dal non voler ascoltare la voce per non cambiare nuovamente le cose al sentire però che c'è qualcosa per lei in questo mistero. Qualcosa che riguarda la sua vera natura. 

E così alla fine della canzone, tramite il crescere dei suoi poteri, risveglia gli spiriti della foresta incantata: acqua, terra, aria e fuoco. 
Che ovviamente sono arrabbiati. 
Arendelle viene evacuata, gli abitanti messi al sicuro. 

E arrivano i troll a dirci che accade.
Gli spiriti sono arrabbiati perché il passato non è come sembra: occorre rimediare a un torto fatto, oppure non ci sarà futuro. "QUANDO NON C'è FUTURO VA FATTO Ciò CHE è GIUSTO".
Si vedono le immagini della diga regalata dal nonno delle sorelle come patto di amicizia con i northuldri.
Papà troll dice di sperare che i poteri di Elsa siano "abbastanza". Dalla paura di essere troppa alla paura di essere troppo poca. Tema che  noi donne conosciamo bene, vero?

E' qui che Elsa dirà della voce che sente a una delusa Anna che non si aspettava più segreti. Ed è così che i quattro partono alla ricerca della misteriosa foresta, anzi cinque: un petulante Olaf, le due sorelle e il duo Kristoff-Sven.
E la trovano. Anzi, trovano una spessa cortina di impenetrabile nebbia. Il fatto che la foresta sia ricoperta di nebbia per proteggere la sua magia mi richiama le nebbie di Avalon: la nebbia protegge, la nebbia nasconde il mondo della magia, della natura e degli esseri che sanno ascoltarla dal mondo degli umani testardi e avidi.
E' la mano magica di Elsa, moderna Morgana, che riesce ad aprire un varco dove compaiono i quattro megaliti con impressi i simboli dei quattro elementi. Richiamo a una spiritualità del passato con elementi norreni, celtici e mediterranei.



Spettacolare la foresta di betulle dove ogni foglia è stata animata. Gli spiriti però sono ancora assai adirati. A cominciare dall'aria, sotto forma di una brezza che si muove con alcune foglie ma che poi diventa un tornado. 

Per placare la sua ira servirà il potere di Elsa, che però cristallizza in forma di statua anche le prime memorie che iniziano a svelarsi. L'enigma inizia a farsi interessante, soprattutto per la statua del padre quando era bambino, salvato da una misteriosa fanciulla. A questo punto lo spirito dell'aria (chiamato "Zefiro" da Olaf, come il dio greco del vento - Gale in inglese) si fa amichevole.

Il trambusto richiama qualcuno: fanno la loro comparsa i nothuldri... ma anche cinque soldati arendelliani che si scoprirà poi che non furono mai in grado di uscire dalla foresta dai tempi della morte del nonno di Elsa e Anna avvenuta più di trent'anni prima. Le guardie scoprono che si trovano dinanzi alla nuova regina e alla principessa.
Gli animi si scaldano ma Elsa penserà a raffreddare il clima, letteralmente, facendo scivolare sul ghiaccio i contendenti.
La vista della sua magia colpirà i presenti: i nothuldri sono indignati e diffidenti. "PERCHÉ' LA NATURA AVREBBE PREMIATO UN'UMANA DI ARENDELLE CON LA MAGIA?"
I northuldri non si fidano degli umani, si fidano solo della natura.

Siamo sempre dentro a "natura vs cultura". Arendelle rappresenta la cultura umana in opposizione alla natura e ai suoi insegnamenti, rappresentata dai northuldri e dalla loro matriarca Yelana.


Ma a portare scompiglio è ora un arrabbiatissimo spirito del fuoco, che cerca di incendiare tutto. Nuovamente, tocca a Elsa. Lo insegue, spegne le fiamme, finché lo spirito si ritira con le spalle "al muro" e rivela il suo aspetto: una coccolosissima salamandra con espressione da "sdentato", il drago di Dragon Trainer, che adorerà spegnersi nella neve creata da Elsa.



Elsa le tende la mano ed è immediatamente amore.

L'unica cosa che non ho apprezzato è l'uso della parola "domare" riguardo all'intervento di Elsa verso gli elementi. Questa idea dell'uomo che deve domare la natura mi pare incoerente con il tema del film. La lotta ci sta, gli spiriti sono arrabbiati e occorre difendersi. Ma domare... siamo un passo in là.
Di fatto si dimostrano ora molto amichevoli, mentre gli indigeni osservano tutto con le mascelle a terra.
Anna e Elsa scoprono che lo scialle della loro mamma è un manufatto antico appartenente ai northuldri e dalla statua materializzata in seguito alla lotta con l'aria capiscono che la misteriosa salvatrice del padre è proprio la loro mamma: una northuldra.

Na na na eya na 
Na y a naa ...anche alla canzone che inizia e conclude il primo film viene dato un senso. Una canzone indigena.

Olaf fa un riassunto di tutto ciò che è accaduto dalla nascita delle sorelle all'oggi, con un'ironia fenomenale, catturando l'attenzione di tutti i presenti.

A questo punto, Elsa e Anna conquistano la fiducia del popolo indigeno. Elsa promette che salverà sia Arendelle che la foresta.
Kristoff incontra il suo alter ego northuldro, Ryder, un giovane fanatico di renne che parla dando loro voce esattamente come fa lui con Sven. 
E, momento chiave per capire il film, una fanciulla northuldra, Honeymaren, mostra il simbolismo ricamato sullo scialle di Iduna, l'ex regina di Arendelle: oltre ai quattro elementi c'è un quinto, al centro, "PONTE TRA L'UMANO E LA NATURA". Il senso profondo è tutto qui, vedrete alla fine dell'articolo.

Le due sorelle partono alla ricerca della voce e di Ahtohallan.

Non prima di una terribile imbarazzante canzone-parodia di Kristoff in pena per l'amore per Anna con varie citazioni tra cui questa di Bohemian Rhapsody:



Sul tragitto si imbattono niente popò di meno che nel relitto della nave dei loro genitori, naufragata sei anni prima. Chiedendo all'acqua Elsa scopre cosa è successo: i genitori erano partiti a loro volta all'insegna di Ahtohallan, decisi a scoprire il perché dei poteri di Elsa. La stessa si sente causa della loro morte e decide di partire da sola alla ricerca del fiume mistico.
Anna è tutto ciò che non è Elsa: compensa l'assenza dei poteri con il suo equilibrio e la capacità di dare senso agli eventi: come quando riesce a consolare la sorella spiegandole come non possa ritenersi responsabile delle scelte dei suoi genitori.

Elsa però non vuole mettere in pericolo i due così li spinge Anna e Olaf con l'inganno su una barca di ghiaccio.
A causa di una manovra mal riuscita Anna e Olaf finiscono nel covo degli spiriti della terra, che sono dei giganti di roccia, immagine frequente nella mitologia, specialmente in quella germanica. 


Per sfuggire ai giganti addormentati finiscono in una galleria sotterranea, dalla quale cercheranno di uscire.
Elsa invece si trova dinanzi al mare oscuro in quella che sarà una scena spettacolare.
Qui incontra lo spirito dell'acqua.
Direi il più feroce e arrabbiato di tutti e quattro. 
La sua forma è equina, richiamo a leggende gallesi (Ceffyl Dwr), scozzesi (Kelpie) e norrene (Baekhest). Ne accennò anche Tolkien e anche noi in italiano chiamiamo "cavalloni" le onde del mare agitato. 

Lo spirito fa del suo meglio per annegare Elsa la quale deve lottare per sopravvivere. Nuovamente, solo dopo che lei ha usato i suoi poteri per domarlo l'elemento diventa amichevole, persino a lei affezionato. 
Sarà lui a condurla a Ahtohallan. Un fiume ghiacciato di straordinaria bellezza che somiglia alla casa-rifugio di Superman.


Qui Elsa scopre che la voce appartiene alla madre, un incontro che scalda il cuore. Ma a Athohallan la magia si fa più forte e in un'animazione straordinaria si svela che Elsa è il quinto spirito: i rombi dei quattro elementi, simboli ai quali a questo punto del film ci siamo abituate/i, si formano attorno a lei nella forma complessiva di un cristallo di neve ed Elsa ne è il centro. Chiunque abbia una formazione nella ruota dell'anno o negli elementi riconoscerà la trasformazione a colpo d'occhio. 
Se a qualcuno sfuggisse, sarà Elsa stessa a dirlo alla fine del film.


Qui si compie la nuova trasformazione. Un altro cambio d'abito suggella una nuova identità. Una trasformazione che viene resa magistralmente con l'animazione, attraverso la danza. La rigida Elsa che non sapeva giocare ai mimi ora da forma col suo corpo al suo nuovo sé, selvatico e divino, il quinto elemento. Finalmente libera. 

Ma è tempo di scoprire la verità. Tra i ricordi del passato c'è un momento di ironia, in cui la stessa Elsa non sopporta più sentire se stessa cantare "Let it go" e lo comunica in modo assolutamente chiaro:


Nei ricordi il nonno appare diverso da come veniva raccontato. Non si fida dei Northuldri per via della loro confidenza con la magia, che a suo dire rende l'uomo arrogante e onnipotente. 
In un simbolico scontro tra razionalità e pensiero magico, Elsa lo redarguisce, "non è della magia che bisogna avere timore, è della paura che non ci si può fidare". Epicità ne abbiamo?
Già, la paura. La paura del nonno verso la natura e i northuldri, la paura che Elsa aveva dei suoi poteri, la paura che ancora oggi è così usata in politica... 

Il discorso si fa interessante, si parla della diga ma... Il nonno si allontana nelle profondità di Ahtohallan, un baratro scuro. Elsa ha timore... spingersi troppo in là significa morte, diceva la leggenda. 
Ma sceglie di sacrificarsi per la verità: si lancia nel baratro e scopre così che la diga non è un dono di alleanza, ma un trucco per indebolire il popolo indigeno temuto: l'avete già sentita vero?
Il capo dei northuldri di allora ha provato a parlarne col re-nonno, ma lo stesso lo invita in una trappola: per "discuterne davanti a un tè", ma invece lo ucciderà. Elsa si è spinta troppo in là e sta congelando, che a me è parso strano, una morte nel suo stesso elemento. Con l'ultimo barlume di  vita e di magia manda ad Anna la verità.

Una statua di ghiaccio del nonno nell'atto di uccidere il capo indigeno si materializza nella caverna di Anna e Olaf. 
Anna comprende che la diga è un inganno, è questo il torto da riparare.

Olaf inizia però a perdere i suoi fiocchi di neve. I due comprendono che a Elsa è accaduto qualcosa. La morte di Olaf è stata resa con una delicatezza e eleganza raffinata. Si può piangere per un pupazzo di neve frutto di finzione? Si. Io l'ho fatto.



Zefiro, il vento ormai amico suo, ne raccoglie i fiocchi e li posa con delicatezza, assieme a qualche fiore viola. 
Poesia.

Anna ritrova la grinta per uscire dalla grotta e capisce che la diga va distrutta. Per farlo mobilita i giganti di terra rischiando la sua stessa vita. Kristoff si troverà al posto giusto al momento giusto evitando che Anna diventi una frittata sotto i piedoni dei giganti, e giunta alla diga si troverà di traverso le guardie di Arendelle. 
Le quali però decidono di collaborare, anche se distruggere la diga significa distruggere Arendelle. Ma gli abitanti sono già in salvo.

I giganti lanciano macigni che in un attimo distruggono la diga. 
L'atto ripara il torto e Elsa torna in vita, recuperata da Nokk e portata verso il fiordo mentre l'onda di piena sta per abbattersi su Arendelle. 
Col proverbiale tempismo che esiste solo nei cartoni animati la nuova Elsa blocca l'onda e salva Arendelle sotto gli occhi stupiti degli abitanti.

Anna intanto assiste alla liberazione della foresta, che rivede cielo e sole dopo trenta e passa anni. 

Elsa rivelerà ad Anna di essere ancora in vita "inviandole" qualche fiocchetto di neve... e lo vedrà personalmente poco dopo. Epica cavalcata sull'acqua di Elsa, le due sorelle si ricongiungono. 

Abbiamo un'Elsa totalmente cambiata nell'espressione e nella corporeità.

E' così che il mistero è svelato, il tesoro del significato del film: la NATURA premia Elsa coi poteri magici perché la madre, northuldra, salva il suo presunto nemico, un ragazzo arendelliano, andando oltre le separazioni volute dai due popoli. Un pò come Jendsana del Lagorai.
BOOM.

Kristoff riesce a proporsi, Olaf viene riportato in vita "perché l'acqua ha memoria", fanno tutti festa e si vede anche sbucare una fotografia, osservata con stupore dalla guardia reale e che permette di inquadrare Arendelle in un'epoca. 

Ma l'interessante è altro.
Oltre la dicotomia, oltre la partigianeria. La natura premia chi sa trascendere il dualismo oppositivo. La natura vuole ripristinare l'alleanza umano-natura. Premia Iduna con una figlia magica e due figlie speciali: perché il ponte tra umano e natura, tra natura e cultura, non è Elsa e basta. "Il ponte ha due sponde", dice la stessa Elsa. "E la mamma aveva due figlie". 



E' la coppia di sorelle la chiave di volta. Elsa appartiene alla foresta, Anna alla "città". Elsa abdica in favore di Anna che sarà nuova regina di Arendelle, ma entrambe regine del regno che loro compete. 
Tramite il loro amore i due regni non saranno mai più divisi, esattamente come doveva essere tramite l'amore dei loro genitori, ai quali Arendelle dedicherà un nuovo monumento.

Il richiamo qui alla Dea doppia è impossibile da ignorare, alle due regine mitiche dei regni matriarcali, culture nelle quali l'alleanza umano-natura non si è spezzata.



Disney è immagino inconsapevole di questo dettaglio, ma tornare a nutrire gli archetipi comporta che questi ci nutrano a loro volta, l'inconscio collettivo viene nuovamente riempito di altri simboli e altri racconti e di nuovo il miracolo è stato fatto. 

TUTTO IL FILM VALE L'ESPRESSIONE DI ELSA NELLA SCENA FINALE. PURA - VISIBILE ESTASI, l'estasi di una donna-dea che ha ritrovato la sua piena natura e il suo posto, a cavallo della sua sovranità. Stupendo.

E il cattivo? Questo è il bello. Non c'è il cattivo. La narrazione Disney si ispira (a quanto mi dicono volutamente) a quella del mio idolo Hayao Miyazaki, che ha trasceso i dualismi oppositivi già dagli anni 80. In Frozen2 nessuno scontro che porti sul piano narrativo la solita dicotomia tra fazioni di cui io sono francamente stanca. 
Un'assenza che ha disturbato qualcuno, gira proprio un video in cui uno youtuber si strugge per la mancanza della consueta sfida dell'eroe all'occidentale. 
Credo che uscendo dal dualismo oppositivo venga naturale apprezzare narrazioni differenti, mentre nella misura in cui la dicotomia ancora caratterizza la relazione con noi stesse/i e con l'altro da noi, vederne rappresentazione diventi quasi un bisogno impellente. Dal quale è difficile liberarsi.
Personalmente non ho sentito il bisogno di un "cattivo" in nessun punto del film. Ero rapita, conquistata, e soddisfatta dalle sfide dei personaggi, anche se qualcuna l'avrei approfondita magari allungando la durata del film.





E così si inscena l'arroganza umana, la diffidenza, il torto alla natura inflitto per il viverla ormai come "altro da sé", separata: in rapporto vinco-perdi. L'illusione che vuole che se vincesse l'una perderebbe l'altro e viceversa. Illusione appunto, perché Elsa e Anna questa volta ancora mostrano che non si è che una cosa sola come loro stesse sono una cosa sola. Che l'amore e non lo scontro deve tornare a essere la qualità della relazione tra le polarità, perché il tutto non è che in principio di comunione, altrimenti detto di non-separazione. 

Emozionante, dai simboli profondi. Peccato per quel "dominare gli elementi"... ma la perfezione non esiste. 

lunedì 23 dicembre 2019

Simboli e miti del solstizio d'inverno (in breve)


Talvolta il 21 talvolta il 22 dicembre ricorre il Solstizio di Inverno: è il giorno più corto e la notte più lunga. L'inizio della stagione invernale, con il trionfo dell'oscurità che, al suo massimo, inizia però anche la sua decadenza in favore dell'aumento di ore di luce.
Immagine: "Amaterasu Sun Goddess" di Taiso Yoshitoshi


"DOPO TRE GIORNI".
Il solstizio cade all'incirca il 21 (quest'anno il 22), molte festività cadono il 25, tra cui il Natale. Perché?
Provate a osservare gli orari di alba e tramonto nei prossimi giorni: la parabola del sole resta pressoché identica nei prossimi due giorni. Visivamente sembra che questo stato si mantenga immobile per 3 giorni, al termine dei quali il sole "rinasce" iniziando il suo nuovo ciclo. Il fenomeno è tanto più evidente quanto ci si avvicina all'equatore. "Dopo 3 giorni risuscita" indica quindi che Gesù ha assorbito su di sé il simbolismo solare precedente. "E rinasce la nuova luce".
Ecco che il 25 diventa il primo giorno del nuovo ciclo solare :)

Oggi è comune abbinare il simbolismo solare al maschile ma questo accade, nella storia dell'umanità, solo da un certo momento in poi.
Una prima fase verso questo cambiamento -di collocazione probabilmente variabile a seconda delle culture ma che possiamo collocare attorno al 4° sec. E.C. per quanto riguarda il pensiero taoista e prima, nell'epoca di Aristotele e Platone nella Grecia Classica- ha riguardato la rigida e esclusiva attribuzione del genere maschile e femminile alle forze di espansione e contrazione dell'universo, allo yin e yang, luce e buio, eccetera. Qualità che ogni essere riflette indipendentemente dal suo genere fisico di appartenenza. Ed è cosi che è stata attribuita al maschile la qualità luminosa/solare/attiva che rifletteva organizzazioni sociali dove l'agire cultura era diventata prerogativa dell'uomo. Ancora oggi -ma la questione genera discussioni- l'associazione "maschile-solare" è abbinata ad analoga qualità psichica.
Ma questo non è in via definitiva "l'Occidente". Perché tanto nel Mediterraneo quanto nel nord Europa la Grande Madre che tutto contiene, ha il suo splendido volto solare.
Con l'avvento del pensiero "delle separazioni" (e il passaggio da sacro al divino -coi numerosi dei e dee)- il sole diventa il "figlio divino" e la "Dea" compare come sua madre. Ma le prove dell'esistenza della Grande Madre solare sono rimaste nelle varie "dee solari" di cui anche l'area delle dolomiti è davvero ricca. La riscrittura della mitologia non è riuscita a cancella
rne del tutto le tracce. :)
Non vogliatemene, per me è la nascita della Dea sole bambina. Archetipo che sarebbe utilissimo tornare a rimembrare... e occasione di ricordare Samblana, regina delle nevi e delle cime e controllora (si dice?) dell'arco solare invernale.

Buon giorno del Solstizio!


mercoledì 3 aprile 2019

"TUTTO E' PERFETTO E ACCADE PER UN MOTIVO". Forse. O forse no.

"E' tutto perfetto così". Si dice.
C'è un grande equivoco dietro questo principio, fatto rimbalzare soprattutto negli ambienti newage più o meno ogni qual volta che siamo dinanzi a fatti spiacevoli. O a prese di posizione che non condividiamo.
L'occidente ha attinto spesso dall'oriente in cerca di nuovi principi spirituali ma non con altrettanta solerzia ne ha valutato ambiti di provenienza, significati precedenti e conseguenze sulla cultura. 
A titolo di esempio potremmo citare il "principio di non azione" del Tao. Che lungi dal significare "passività" ha a che fare con l'agire coscienzioso secondo le leggi dell'universo".
Ripeto.
Agire.
Con coscienza.
Allineandosi alle leggi dell'universo. 
Questa ultima parte son sicura la si senta in giro. Ma ci si ferma prima, alle parole "non azione".
In realtà lo stesso medesimo principio lo troviamo nella simbologia della Grande Madre e nei suoi miti, di cui ci occupiamo. 
Quella "dea", lungi dall'essere la metà yin dell'universo, è piuttosto Colei che contiene tutte le polarità, l'una che si trasforma nell'altra, mirando al loro equilibrio, in continuo dinamismo (parafraso Luciana Percovich). 
La sua è, come l'universo intero, metafora di CONTINUO MOVIMENTO.
Di una creazione quindi che è sempre in corso.
Nella vita e nell'universo tutto cambia, l'unica cosa che non cambia è il fatto di...cambiare.
Un modello di credenza differente dalla creazione "data una volta per tutte all'inizio dei tempi", per iniziare a essere chiare. 
L'umano come si relaziona rispetto a questo principio?
Come COMPARTECIPE della creazione. Agendo con SCELTE. Ed è scegliendo in base alle leggi che la stessa Grande Madre da (ciò che sopra citavo come leggi di natura o dell'universo) che ne deriverebbe equilibrio, armonia e abbondanza. 
Risuona un po' ? 
Bene. Ma cosa significa seguire quelle leggi è altro paio di maniche.
Crediti sulla foto: Susan Sedden Boulet, "Shaman spider woman". Artist's FB page: https://www.facebook.com/Susan-Seddon-Boulet-148240765231426/

Per prima cosa l'indizio lo avremmo nel suo essere risolutrice delle polarità. 
Il pensiero duale oppositivo che su questo blog ci affanniamo a mettere in discussione nasce in antitesi con questa idea.
Crea un'idea di scarsità, di pericolo verso il diverso, di gerarchia. Di guerra e scontro soprttutto. Un motore di guerra che pone ogni termine della polarità come nemico dell'altro.
Tramite le lenti di questo pensiero che quasi nessuno mette in discussione noi affermeremmo principi quale quello oggetto di questo post. 
Tramite le lenti di questo pensiero compiamo le nostre scelte che, proprio perché è un pensiero in sè produttore di disequilibrio, porterà l'organizzazione della nostra vita e delle nostre azioni nel medesimo disequilibrio. 
Altro che seguire le leggi dell'universo!
A titolo di esempio:
L'esasperazione per la materialità oggi è spesso vista come conseguenza della sconfitta dello spirito a causa della caduta della nostra società...eccetera.
Non ci credo più.
La causa invece è nell'aver separato materia e spirito.
L'insistenza del logos per innalzare lo spirito a unico bene possibile ha causato la lotta della controparte. Questo è dualismo oppositivo.
Finché materia e spirito saranno percepiti in antitesi i problemi continueranno. 
La risoluzione non è nell'innalzare lo spirito e fare guerra alla materia.
La soluzione sta nella fusione dei due che, una volta equilibrati, non avranno più bisogno di farsi la guerra e potranno portare i loro doni in armonia.
Oltre al comprendere il principio sul piano intellettuale va proprio sperimentato. Pena rischi di equivoci o partigianerie non utili alla crescita. 
Detto questo.
1- non siamo soli al mondo. siamo inseriti in un contesto sociale che tutti dimenticano quando parliamo di "verità" o compiamo analisi della situazione. Significa che il nostro agire ha conseguenze anche su questo contesto allargato.
2- non è affatto tutto perfetto così. lo sarebbe nell'agire "secondo coscienza in linea con le leggi" di cui sopra. Forse. Ma oggi non siamo in questa condizione. Chi ci può riportare?
Noi. 
Attraverso il modo in cui decidiamo di creare cultura. Attivamente. Quindi valutando e scegliendo.
3- come ampiamente argomentato in questo articolo (clicca qui) queste teorie hanno lo scopo ben preciso di mantenere lo status quo.
E' interesse del sistema dominante, chiamatelo o meno patriarcato, trovare le sue regole di mantenimento di sé. 
Se tutto è perfetto così l'umano non deve agire. Rimaniamo nell'immutabilità assoluta.
Non torniamo a percepire la responsabilità del nostro sacro agire. E quindi agiamo con superficialità.
La facoltà di scegliere è il luogo dove è insita la divinità dell'umano, secondo l'approccio che proponiamo.
4- Il "va tutto come deve andare" fa gola perché permette di non fare una bella parte di lavoro su di sé. Si chiama bypass spirituale. Una cosa che conosco personalmente molto bene. Traumi troppo profondi, ferite mai rimarginate cancellati con un colpo di spugna credendo che "è così che deve andare". A volte può forse essere. Ma non è un principio generalizzabile. E la verità è che quelle ferite rimangono, causandoci conflitto ogni qual volta siamo dinanzi a qualcuno che si permette di sperimentarne gli effetti o di affrontarle.
L'eventuale dono nelle situazioni difficili, e sottolineo "eventuale", può semmai essere scorto dalla persona che le ha vissute. Stop. Non spetta a nessun altro imporre di vedere un evento, un trauma, una malattia ecc come "perfezione". Questa tendenza diffusa a voler correggere gli altri nei loro vissuti è una forma di violenza. Che comunica molto più di noi che la imponiamo, della fatica di accettare il nostro materiale da elaborare. Che non di chi abbiamo di fronte.
Semmai, tutto ciò che possiamo fare è raccontare la nostra, di esperienza. Senza pretese di aggiustare l'altro dietro al "è tutto perfetto" o al "tanto poi passa" ecc. 

Come mostra il mito della donna ragno, la tessitura è sempre in corso.
Noi quali fili vogliamo portare per parteciparci?

....

Per iniziare il nostro atto di creazione con azioni consapevoli, potremmo cominciare col citare sempre i crediti delle immagini che cerchiamo. Per quella utilizzata in questo articolo mi ci è voluto una buona mezz'ora, dopo averla trovata in miriadi di siti di sciamanesimo e sacro femminile senza un solo riferimento.

Crediti sulla foto: Susan Sedden Boulet, "Shaman spider woman". Artist's FB page: https://www.facebook.com/Susan-Seddon-Boulet-148240765231426/

martedì 15 gennaio 2019

DI MONTAGNA, DI SENSO DEL LIMITE, DI RICERCA DI SENSO E DI SIGNIFICATO


Annapurna III, SE ridge, credit planetmountain.com

Sono appena stata al Cineteatro di Borgo Valsugana durante le prove di proiezione con mio marito Mattia di SlowCinema per il film festival della Montagna che debutterà domani sera.  Ho avuto occasione di vedere in anteprima il corto "Annapurna III: unclimbed".
Noto come alcuni film sulla montagna, con la loro curata fotografia, lo spazio lasciato alla musica del vento, mi fanno commuovere senza possibilità di resistenza. Questo corto, oltre alla commozione, mi ha sollevato molte altre emozioni e riflessioni.
Ora, gli amici alpinisti potranno odiarmi per quanto sto per dire… 
I bravissimi protagonisti mi sono simpatici, ero lì con loro nella loro ansia, sogni, timori. 


Eppure io spero che Annapurna III resti inviolata.

La mia è una riflessione sul limite che in qualche modo non è lontana dal problema del nostrano famigerato "progetto Translagorai" che sta dividendo in aspre fazioni l'opinione pubblica.
Il senso del limite simboleggiato dalla vetta è qualcosa che si perde nella notte dei tempi. Prendiamo Uluru, chiamata Ayers Rock dai bianchi, la roccia di arenaria rossa sacra agli aborigeni australiani che da sempre ne hanno fatto un simbolo.
Le altezze di Uluru non sono i 7555 di Annapurna III e infatti girano foto con file di ciccioni occidentali che la scalano in pantofole… mentre i cartelli messi a contentino delle minoranze aborigene supplicano di non scalarla. Per loro è come entrare in una chiesa cattolica nudi, cercando un equivalente omeomorfo che renda l’idea. Ma niente, i turisti arrampicatori non mancano mai.
Mi ha sempre colpito.


Uluru rock, credit ABC News: Rick Hind - ABC.net.au






Oggi, nei luoghi di montagna in cui dimoro, prevale ancora un modello di sviluppo selvaggio con relativi promotori che descrivono coloro che vogliono preservare l'ultimo paradiso wilderness trentino (19mila iscritti in tre mesi al gruppo facebook "giù le mani dal Lagorai") come “pazzi estremisti”, che vogliono solo “bloccare il progresso”. 
Ma la nostra non è un'epoca in cui prevale un mondo disabitato dove vi sarebbe solo l’imbarazzo della scelta. Oggi, a casa mia, come il Lagorai c’è solo il Lagorai.
Oggi, altrove, come Annapurna III c’è solo Annapurna III e la sua gloria e maestosità.
E la ricerca dell’invincibilità umana, la sua possibilità di superarsi, a un livello sistemico e culturale si è ormai tramutata in arroganza. 
Non mi riferisco ai sogni di un alpinista, vado ben oltre. 

Tutti i nostri simboli e tutte le nostre narrazioni parlano della stessa spinta alla gloria della conquista.
Ormai dimenticato quell'antidoto che è la dimensione di sacralità immanente, se non in una piccola nicchia (di cui faccio parte), il mondo “di qua”, l’unico di cui abbiamo certezza, non fa che celebrare un unico modello di umano. 
Conquista, sfida perenne, crescita esponenziale, colonizzazione, un umano al centro di questo “antropocene” dove questa energia espansiva non riesce a equilibrarsi con la sua sorella, quella contrattiva.

Eppur non è una spinta universale nell'umanità. Gli aborigeni sono esseri umani ma non hanno sentito il bisogno di scalare Uluru. Studiando altre culture indigene del mondo si trovano ovunque analoghi esempi. Sembra che questo eccesso sia culturale, proprio di quelle culture come quella occidentale che hanno creato una dicotomia tra "natura" e "cultura".
Un paio di mesi fa scrissi un post in inglese chiedendo di aiutarci a far diventare il Lagorai un simbolo. Lo stesso simbolo che vorrei per Annapurna III e per i luoghi (rari) ancora rimasti inviolati. 
Il simbolo di un umano che non ha bisogno della conquista ad ogni costo, perché ha saputo riconoscere che la forza è anche nell’equilibrio, nel rispetto, nel sentirsi parte di quanto lo circonda piuttosto che separato da questo. Una cultura della natura e una natura nel fare cultura, ricomponendo la dicotomia.
Perché si crede di poter possedere ciò che è viso come oggetto, e il processo in atto è sempre più quello di tramutare il soggetto in oggetto. E’ un attimo. E con la montagna è già accaduto.

Il Lagorai come Annapurna III, che tornino "soggetto montagna", parte del nostro stesso organismo, simbolo di ciò che non tornerà più, di ciò che non può appartenere, riscoperta del limite persino come opportunità.
Serve un nuovo umanesimo in grado di gioire della piccolezza dell’umano, che, quando ritrova questa sua piccolezza senza più temerla, ritrova al contempo la sua vera grandezza.

Questo mi insegna la montagna.
Un amore che non ha bisogno di possedere. La capacità di ritornare a essere indigeni.