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sabato 28 aprile 2018

Denaro e spiritualità

In Italia c’è molta resistenza dinanzi alla possibilità che qualcosa che si presenta come “spirituale” sia a pagamento. Dietro questo pensiero può essere radicata la convinzione per cui “sacro” non può mischiarsi a “profano” e “spirito” non deve inquinarsi con “materia”. 
Il nostro cammino non separa in rigidi dualismi, non queste, non altre polarità. Anzi. Tenta di ricomporle.
In particolare, è molto importante iniziare un processo di sacralizzazione anche della materia (radice etimologica in “mater”, “madre”) come manifestazione, come corpo e sostentamento che ci consentono l’esperienza della vita, una materia che, proprio perché non è scissa dallo spirito, non è fine a se stessa ed è piena di bellezza. 
Non è da confondere con “il materiale” che vediamo oggi, nella cultura occidentale; un “materiale” che si è formato proprio svincolato e in contraddizione con lo spirito: ne è quindi derivato un concetto squilibrato carico di contraddizioni. 


 Ogni singola attività che proponiamo come associazione ha dei costi che non sono sostenibili di tasca nostra. Nel momento in cui si interagisce con il mondo reale, non virtuale, occorre fare i conti con enti e soggetti che chiedono per i loro beni e servizi un pagamento in denaro. Ecco che non è possibile offrire gratuità altrimenti la nostra associazione avrebbe vita breve e nulla di ciò che è nei nostri scopi sarebbe più possibile. 
Se ci avvaliamo di consulenti o chiamiamo esperti, ciascuna/o di loro avrà una tariffa per il tempo e le conoscenze che mette a disposizione. Probabilmente affronterà un viaggio, pagherà dei biglietti aerei… Mettere, da parte loro, a disposizione il proprio tempo significa che quel tempo non lo impiegano in altre attività potenzialmente fonti di reddito. 
Nella realtà di Glastonbury, nella quale mi sono formata, la comunità è molto ampia e molte sacerdotesse lavorano full time, ogni giorno tutto il giorno mettendo a disposizione i loro talenti. Una cosa difficile da immaginare, finché non la si osserva con i propri occhi. 
Se lavorassero “gratis”, non potrebbero vivere e tantomeno portare nel mondo i loro doni e i loro servizi. Nel mondo delle nostre antenate, e ancora oggi in altre parti del mondo, sacerdotesse e sciamane erano parte della comunità e dalla comunità stessa mantenute. Qui e ora, da noi, “nessuno mantiene nessuno” e volenti o nolenti il denaro serve per vivere e muoversi. 


Noi sosteniamo il concetto che personalmente mi sono inventata di chiamare “sobrietà con bellezza”, ma non la povertà. 
La povertà è carenza e rinuncia anche della bellezza. La “sobrietà con bellezza” è rifiuto dell’inutile spreco e dell’eccesso ma non sacrificio della bellezza, dei doni della Madre, delle occasioni di crescita. E’ una forma di abbondanza con meno spreco possibile. 
Nella “sobrietà con bellezza” l’arte non è superflua, per fare un esempio, ma vitale. L’arte è cultura. E’ sacra. 
Nella povertà invece, l’arte può essere vista come uno spreco di tempo e risorse che servono alla sopravvivenza. 
“Dea non vuole che nessuno sia povero”, si dice nel nostro cammino. Mentre essere più sobrie è ormai un dovere dinanzi alla cultura consumista dai mille rifiuti che abbiamo creato. Insostenibile per la Terra. 


Nonostante questo radicato immaginario di inconciliabilità tra spirituale e materiale, nessuna organizzazione religiosa o spirituale ufficiale in Italia, proprio nessuna, vive nella totale gratuità. Tutte hanno una qualche strategia di sostentamento, senza la quale non sopravviverebbero. Qualcuna è persino molto, ma molto ricca. 
La nostra organizzazione non è piramidale. Non c’è un capo che intasca i soldi di nessuno. Siamo tanti cerchi con tanti sogni. Persone reali che mettono la loro passione, talenti e energia in favore di una causa ritenuta giusta. 
Persone in cerca di colmare un vuoto di valori spirituali offrendo le risposte che loro stesse hanno trovato utili; risolvere la mancanza di unità tra spirituale e materiale, tra quotidiano e sacro, per un nuovo paradigma spirituale più inclusivo. 
Vogliamo potenziare il singolo piuttosto che svilirlo, vogliamo ricercare un differente equilibrio al riparo dalle estremizzazioni dicotomiche, che recuperi e riabiliti anche in una dimensione di gruppo (non solo privata!) il valore del sacro nella quotidianità. 
Utilizziamo il denaro che ricaviamo per realizzare questi scopi. 

 Le derive 

Siamo oltremodo consci/e della confusione a cui assistiamo in questo periodo: l’offerta spirituale è di ogni tipo, vasta e varia. 
Molte sono le persone che propongono a pagamento ogni sorta di trattamento e a volte è davvero difficile scindere tra ciarlatani, truffatori, persone disperate che cercano un modo come un altro per arrivare a fine mese e invece le moltissime persone e realtà serie che portano formazione, onestà, coscienza, consapevolezza di ciò che propongono e relative conseguenze, intento pulito. 
E’ davvero difficile laddove spesso si utilizzano medesime parole; parole come “sacerdotessa”, “sciamano”, sono molto suggestive ed evocano immagini seduttive. Nel web si trova di tutto.

Qualche strategia per orientarsi c’è e voglio condividere qualcuna delle mie considerazioni, che vengono dall’esperienza personale. 
Occorre però di un pizzico di consapevolezza da parte del “cercatore”, rispetto a dinamiche e strategie utilizzate per “attirare”.
Un percorso serio non può puntare ai “grandi numeri” ad ogni costo. Spiego meglio questa mia idea. Noi non siamo affatto sostenitrici/tori dei percorsi “per pochi eletti”, tutt’altro, dal momento che consideriamo l’accesso al sacro un diritto di tutte/i e lavoriamo esattamente per restituirlo alle persone. Ma ciascuno ha i suoi tempi e non si tratta di vendere una bibita gassata: non riteniamo opportune le strategie di marketing selvaggio che si basano sull’ “incontro con la domanda” per vendere di più. 

Facciamo un esempio: la domanda in questi casi potrebbe essere il bisogno di un’identità. 
La domanda segue il principio occidentale del “volere tutto e volerlo subito”. 
Quindi, “voglio in fretta una nuova identità”. 
Basta sfruttare il bisogno umano di identificazione e appartenenza, o peggio, sfruttare quel vuoto che ciascuno/a di noi conosce che chiamerei disistima di sé: quando ne cerchiamo giustamente riscatto, possiamo rischiare però di “travestirci di un essere forzatamente speciale”. Ma rinunciando così alla vera essenza di noi stessi. Un travestimento che è una soluzione veloce ma anche una fuga. 
Queste sono derive pericolose, potrebbero portare a un pensiero dogmatico, la ricerca della “purezza”, l’esclusione del diverso… tutto ciò che protegga dal nostro vero sé, che nasconda uno specchio che potrebbe mostrare le nostre ombre. 
Un qualcosa di ancora più grave della perdita del proprio denaro. Il problema è che guardare alle nostre ombre porta sofferenza. Ma è l’unica porta per iniziare una reale conoscenza di sé, e quindi una sincera crescita. 

Avremmo, per fare un esempio, molto più successo nei numeri e quindi nel guadagno, se il nostro fosse un percorso “Sacerdotessa in tre weekend – impara il fascino e il potere della sacerdotessa subito e facilmente!”. 
Il fatto è che la priorità per noi è l’apprendimento, l’etica, la profondità, l’aspetto pedagogico dei percorsi. “Robette” che richiedono tempo, impegno e relazione. 
Una realtà non seria sfrutterà questi bisogni di identità. Potrebbe offrire facili “travestimenti”, facili “etichette”, facili “titoli” impressi su un diploma consegnato dopo appena un week end di seminario. La crescita è un lavoro lungo che non termina mai. Necessita di coraggio. Di scelte. Difficilmente in un tempo tanto breve si possono raggiungere risultati tanto sconvolgenti. Magari si possono avere degli ottimi inizi. Ma non scorciatoie. 

 Ho sulla mia pelle imparato anche a fare attenzione a chi crea legami di “dipendenza” di ogni sorta. Affettiva, psicologica, economica… è sempre una strategia di sfruttamento delle difficoltà delle persone per propri interessi, a volte consci ma a volte meno. 
Non tutti sono a caccia di soldi. Talvolta dietro sedicenti maestri si nasconde anche una grande ferita e un disperato bisogno di riconoscimento, perfettamente complementare al bisogno di un eventuale “adepto” di essere approvato e considerato da parte di una qualche autorità. 
Queste sono sempre strutture piramidali, dichiarate o meno, con persone carismatiche al loro vertice che assumono su di sé il controllo di tutto. 
Non è utile e tanto meno sano “delegare tutto a un’altra persona”, soprattutto i nostri sogni, le nostre speranze. 

Il nostro cammino, viceversa, tenta di responsabilizzare ogni singola persona e renderla conscia del suo proprio immenso potere di agire nel mondo. Per noi la complessità dell’esperienza e della conoscenza è tale, che tutte/i possiamo essere al contempo maestre/i e allieve/i. 
Un conto sono i ruoli organizzativi, ruoli che servono e che possono però cambiare. Un altro conto sono le identità cristallizzate di leader/guru/capi che fondano un’intera comunità spirituale sulla venerazione della propria persona. 

Nel nostro cammino occorre lo sforzo di tutti/e per scardinare i meccanismi che mitizzano le “personalità”. 
In misura più o meno intensa abbiamo tutte/i assorbito questi meccanismi dentro di noi. 
Il rispetto e la stima per una persona sono altro dall’idolatria. Nessuno ha bisogno davvero di delegarsi in toto a un leader. Può desiderarlo, ma se accade occorre comprendere quale origine sta sotto questo bisogno. 
Forse una ferita da sanare? Un basso livello di autostima? La semplice abitudine a credere che “sia normale farlo”? 
Altre vie sono possibili. 
Anche “gli esempi da seguire”, le persone da prendere a modello, devono diventare sempre di più. Chiunque deve sentirsi nella possibilità di poter essere una di queste persone. (Ricordando che nessuno ma nessuno proprio è "perfetto" e "finito").
Perché il mondo di oggi ha bisogno di responsabilità e responsabilizzazione. Non di controllori dall’alto. 
Ha bisogno di tanti talenti che agiscono, non di uno solo. 

Una realtà non seria potrebbe sfruttare la disperazione delle persone. Il loro dolore per un lutto subito, la paura di eventi difficili che accadono, la loro rabbia repressa e mille altre cose. 
La politica italiana ad esempio sfrutta tantissimo questa leva emotiva. 
Il mondo del mercato della spiritualità non ne è esente. 

Un altro trucchetto che può tornare utile, è quello di non fermarsi alla “parola civetta” che cattura la nostra attenzione, ad esempio: “sacerdotessa: diventalo, in due week end!”. 
Ma guardare “chi ci sta dietro”. Pretendiamo le fonti: a quale approccio si ispira il percorso? Chi è che lo conduce e dove ha reperito quelle informazioni? Con chi lavora? Con chi collabora? Se il lavoro proposto è frutto di personale creatività, esperienza e ricerca (e va benissimo che possa essere così), quali sono i riferimenti teorici, filosofici, pratici, ecc. della persona che propone? Ha già lavorato con gruppi di persone? Ha un pensiero o un approccio di lavoro coi gruppi o con i singoli (che non va lasciato al caso! Facilitare cerchi è un mestiere delicatissimo)? E’ nostro diritto avere queste informazioni qualora non fossero chiare. 
Se c’è un sito, visitiamolo tutto. Se c’è un blog, leggiamolo. 
Facciamoci un’idea, costruiamo una mappa mentale del percorso che stiamo per affrontare per capire se fa per noi, specie se si tratta di un percorso lungo e impegnativo. 

 Realtà come quelle sopra descritte esistono. Il denaro in questi casi non è un mezzo. E’ un fine. 
 La buona notizia, è che esistono anche moltissime realtà serie! 
 La mia personale critica è che il liberal-capitalismo stesso è un sistema di organizzazione e scambio di tipo “patriarcale”. 
Non sono affatto convinta che tutto sia mercificabile. Fino ad oggi nessuno è riuscito a convincermi del contrario. 
 E non giova a nessun tentativo di cambiamento il giocare con le medesime regole del sistema che vogliamo migliorare. 
Come dire di voler cambiare il gioco del “Monopoli”, cambiargli nome in “Risiko”, ma continuare a giocare con le regole del Monopoli. 
L’economia, da “mezzo” per servire le persone, è anch’essa diventata “fine” e produce molta ingiustizia per mantenere in piedi l’attuale sistema. 
 Voglio ricordare che nel nome della pura legge domanda/offerta sfruttiamo la Terra, le sue creature, tra le quali esseri umani e bambini. 
L’illusione del “mercato che si autoregola” è, appunto, un’illusione. 
E’ sotto gli occhi di tutte e tutti. Per formare questa mia opinione sul business selvaggio nel sacro ho ricercato nei blog e nelle opinioni di alcuni sostenitori di questa filosofia. 
Alcune motivazioni argomentavano che “diventando ricca” avresti potuto finanziare le cause “giuste” in cui credi, ad esempio “salvare le balene”. 
La mia critica è che quelle balene sono precisamente in pericolo e stanno morendo perché esiste questo sistema di business selvaggio senza valori, perché per qualcuno sono solo un altro tipo di “merce”. 
Il guadagno viene prima di qualsiasi altra cosa. Torniamo al Risiko con le regole del Monopoli. 

Un’altra critica è che non so se i nostri sono ancora i tempi per dire “diventiamo ricchi”. Forse i tempi sono quelli di imparare ad accumulare di meno, e vivere felicemente di più. 
Sono i tempi di minori oggetti e maggiori relazioni. La relazione prima di tutto quindi. 
Una sacra relazione. 
Nell’applicare il business selvaggio e le regole neoliberiste alle nuove forme di spiritualità personalmente credo si stia perdendo l’occasione di una rivoluzione. 
Non voglio affatto separare di nuovo spirito da materia, lo preciso, ma temo possa essere un trascinarsi un sistema marcio in qualcosa che dovrebbe adottare punti di vista non legati alla mera mercificazione. 

Il dilagare della spiritualità “fast food” è proprio una conseguenza, a parer mio, di questo modo di intendere la legge di mercato. 
Se tutto è mercificabile, tutto vendibile, lo diventa (lo è già diventata) la natura, le risorse di tutti, i corpi delle persone finanche dei bambini. 
E anche il “fumo” diventa mercificabile e può essere venduto a piacimento. Delegando la colpa e la responsabilità all’”allocco” che ci casca. Che “se è disposto a comprare”, “che problema c’è?” 
Uso un esempio volutamente esagerato e conscia della provocazione: ben più grave ma non diverso nel principio che sottende, è la piaga terribile del traffico di esseri umani. C’è sempre anche qui chi è disposto a “comprare”. “Che problema c’è?” 
Domando: “a chi giova tutto questo mercificare?” 

Il punto di incompatibilità non sta nel fatto che “il denaro è materiale e sporco e lo spirito invece è puro”. Il punto di incompatibilità secondo il mio pensiero è che nel business selvaggio c’è posto per un unico interesse: “il fare soldi” ad ogni costo. La persona cessa di essere tale e diventa “cliente”. 
Mentre un percorso spirituale, o di crescita, ha primariamente uno scopo educativo dove la relazione è al primo posto
L’essere “educativi” esclude automaticamente un sacco di strategie e regole di marketing, in particolare mi riferisco a quelle che si fondano sul “creare bisogni”, sullo sfruttare le “debolezze” altrui e che non necessitano affatto della consapevolezza del consumatore. 
Lo immaginiamo un percorso spirituale con queste regole? Ci sono, di fatto. 
Dubito molto sulle realtà che questi sono in grado di creare. Sul modo in cui possono essere utili per rendere le persone consce del loro partecipare alla Creazione. 

E’ piuttosto ora di diventare consapevoli che la spiritualità, ciò che facciamo ogni giorno, ciò in cui crediamo, anche il modo in cui “veneriamo” sono tutte cose che hanno conseguenze tangibili sulla materia, sulla vita e quindi sulla Terra e sugli altri esseri viventi. Noi proponiamo un modello che “da fruitori e consumatori” ci trasformi in “custodi”. 
Negli esseri divini che siamo – e questo a parer mio è il nucleo del significato della frase fin troppo pronunciata di “abbiamo la Dea dentro di noi”. 
 L’”essere educativi” quindi, per me, è una caratteristica imprescindibile. L’educazione, che è il mio mestiere, implica molta formazione, esperienza sul campo e professionalità e non ci si improvvisa. 

E’ sbagliato però vedere in un percorso a pagamento in automatico un sinonimo di “truffa/fuffa”. 
Potrei solo aggiungere che tale percorso deve essere il più possibile alla portata di tutti. La spiritualità non può, sempre a parere mio, mai in nessun caso essere classista. 
Perché si indirizza all’umano in quanto umano, e non al suo conto in banca. Certo, è vero che non è sempre facile coniugare quest’ultimo principio con il “giusto prezzo”, che deve tenere conto di non andare in perdita e di poter guadagnare del denaro da reinvestire. 
Ci sono anche tentativi di sperimentazione. Uno di questi è stato proposto nel corso della prima edizione del percorso sulla “Ruota dell’Anno”, dove si lasciava molta libertà in cambio di responsabilità. 
Ho chiamato questa forma “donazione responsabile”, si trattava da parte mia di essere trasparente nelle spese sostenute e nei bisogni dell’organizzazione e lasciava poi a ogni singola/o la libertà di fare un’offerta per incontro. 
Per vari motivi andai in perdita più di qualche incontro, e questo fu il motore che mi fece decidere per un pacchetto più strutturato e un prezzo “fisso”. 

BenESSERE, non corrisponde al “benAVERE” che abbiamo creato come modello di società dei consumi. Non è una questione di PIL. E’ una questione di sentimenti. Di come stiamo. Ricerca di maggior equilibrio e felicità. 
La risposta alle “derive” però non sta nella gratuità. Il lavoro è giusto venga ripagato anche quando spirituale. I talenti messi a disposizione della comunità che vengano riconosciuti. 
Credo che una rivoluzione si possa fare anche in questo campo, altri metodi possano essere sperimentati. 
 “Dalla mercificazione selvaggia, al giusto costo per la giusta offerta”. E il giorno che si tornerà all’economia del dono, non potrò che gioirne. 
Quel giorno però non è così vicino e per noi operatrici e operatori del sacro, comunque desideriamo presentarci, è importante continuare ad esistere e a portare avanti le nostre proposte. E le nostre rivoluzioni.