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mercoledì 10 settembre 2014

Tempio coperto, tempio scoperto. Come è fuori, così è dentro. Tutto è sacro.

In principio, era il bosco. No, meglio.
In principio, era la Natura. Tutto.
Il Sacro permeava ogni cosa, senza distinzione tra ciò che era sacro, e ciò che era profano.
Accadeva molto tempo fa. Prima che il pensiero dicotomico si impossessasse della capacità di significare la realtà degli esseri umani.

Dopo aver scritto il post sulla visione del Tempio della Grande Madre di Trento (leggi qui), una cara ragazza che ha avuto il coraggio di esprimere i suoi sentimenti a riguardo, mi ha scritto qualche messaggio in cui esprimeva dubbi sull'opportunità di un luogo coperto e chiuso in cui celebrare il sacro femminino. La ringrazio, perché mi ha permesso di rivedere le tappe del percorso del mio pensiero in merito,di cui ora voglio scrivere.

E' un tema su cui ragiono da molto tempo.
Non avevo espresso ancora la mia intuizione a riguardo, e immagino che le domande che mi sono posta io (e che si pone questa ragazza), se le pongano in molte/i.

Sulla venerazione del Sacro all'aperto, vorrei segnalare un favoloso articolo di Luciana Percovich (clicca qui)  che parla da sé.
Le mie ricerche arrivano alle medesime conclusioni.

La mia prima intuizione, era la ricerca di un bosco, da acquistare magari come associazione, un luogo protetto per celebrare lontano da "manacce irrispettose e cementificatrici".
E non ho abbandonato questa idea.
Questo è il mio vissuto, dopo tutto.
E' stata la Natura ad avermi "salvato" da certe brutture della vita.
Una natura che non ha nemmeno bisogno di essere "sacralizzata" con un'umana operazione: è già sacra di suo. Ciò che ha bisogno di essere "ri-sacralizzato" è piuttosto l'occhio umano che osserva la natura e non vede più qualcosa di sacro. Ma "un dono", un giocattolino da usare a piacimento. A questo scopo, alcuni riti rispondono bene. Servono all'umano, a rieducarlo, riabilitarlo, ri-donare un potere perduto che non è nell'abuso della Natura, ma nell'alleanza con la Natura la sua vera forza.
E l'arcaico tabù dei luoghi inviolabili, di cui parla anche Luciana nel suo articolo, sta forse a significare proprio un simbolico limite all'azione umana: "agisci, prendi, disponi ma non di tutto. Limitati. Ciò che ti serve per vivere, è nel tuo diritto. Il resto non è tuo. E' degli spiriti che lo vivono. E' di altre creature. Visibili o meno." E' l'inviolabilità, come simbolo che occorre avere chiaro questo limite. Oltre il quale non è saggio spingersi.
Un limite che abbiamo perduto da molto tempo.
I miei primi "riti", quando ancora ero una bambina di una decina d'anni, avvenivano su una roccia a forma di aquila o di drago (o così io la vedevo), che avevo "scoperto" per caso.
E nella mia crescita, ogni esperienza di sacro significativa non avveniva nell'edificio "chiesa" messo a disposizione dalla mia religione di provenienza, no. Era il bosco che cercavo. Bosco che affrontavo, talvolta anche isolandomi, per ascoltare le mie paure, nelle ore notturne. Bosco nel quale ho dormito senza riparo. Bosco nel quale ho meditato, suonato, cantato, camminato.....

Poi, ho fatto esperienza del Goddess Temple a Glastonbury.
E ho intuito anche altre cose.

Non è l'edificio "chiesa" così come lo abbiamo sperimentato, il modello del "tempio coperto" che è nella visione che propongo.
L'edificio chiesa si inserisce in una modalità di pensiero, duale, che contrappone la materia creata (e quindi la natura) allo spirito.
Lo spirito sommo, la Divinità, chiusa nel "sancta sanctorum", l'area più sacra, cuore dell'edificio. Il sancta sactorum, è un luogo chiuso e inaccessibile in cui presenzia lo spirito della divinità, una delle uniche tre forme di immanenza del Dio trascendente, secondo la tradizione ebraica.
La chiusura qui simboleggia distacco dal resto della materia, profana, se non persino impura. "Luogo dello Spirito", si dice in certe accezioni.
Questo simbolo di distacco mal si concilia con la mia intuizione.

Ho sperimentato un luogo-tempio altro, come un luogo "tana".
Un luogo sicuro, in cui ri-addestrare l'occhio umano a scorgere la sacralità in tutto.
In se stesso, prima di tutto.
Ho sperimentato attraverso alcune Dee, simbolo di questa "tana", del focolare "sicuro", che Colei che è fuori, è Colei che è anche dentro (Brigit, per fare un esempio, veniva celebrata anche al coperto).
Dea risolve gli opposti. E in questa risoluzione, alberga il suo Tempio. Lei è in ogni cosa. Lei è nella volontà di riunire.
Dinanzi un edificio, una medesima forma esteriore può cambiare il senso del suo esistere radicalmente, se fondata su intenti così differenti.

Ho sperimentato il bisogno delle persone di un simile luogo, un tempio moderno che forse rievoca arcaici ricordi di templi ben più antichi: penso a Malta, dove le prove archeologiche portano all'ipotesi di una copertura ormai dispersa, forse perchè lignea...
Ta Hagrat. Modellino di Tempio maltese.

La cultura in cui viviamo oggi forse ci espone troppo a una sensazione di bombardamento.
A cui si risponde con desiderio di protezione. Non dalla Natura perchè "profana". Una protezione, bensì, dagli stimoli culturali che la desacralizzano, che sono costanti e onnipresenti.
Desiderio di una "tana", luogo arcaico della nostra natura di animali.
Tana come avvicinamento, di nuovo, quasi per paradosso, alla Natura.
Tana-Tempio come luogo intermedio, in grado di de-strutturare certi concetti di cui sentiamo poter fare a meno (tra cui, il concetto di materia contrapposto a spirito), e iniziare così un cambiamento.
Un luogo Utero, in cui i cambiamenti iniziano a prendere vita.
Tana-Tempio-Utero, come luogo di formazione. Per riapprendere ciò che è dimenticato e costruire assieme una nuova forma di cultura.
Tana Tempio Utero come luogo-edificio riconosciuto immediatamente dallo sguardo di chi appartiene all'attuale cultura, per non separare più "natura" da "cultura".
Tana Tempio Utero per offrire a Dea un posto anche all'interno della cultura, quindi.
Le sue pareti non per separare. Ma per contenere, nutrire e dare vita come in Utero di Madre.
Nel Tempio di Glastonbury, Dea Una e la Dea Multiforme nei suoi vari aspetti, si percepisce forte quanto la si percepisce nel meraviglioso bosco in cui cammino per riconnettermi con Lei. Magari in modo differente, ma altrettanto intenso.
Si percepisce come dinanzi alla potenza del mare. Come nel fascino del temporale e nella paura della tempesta.
Lei sa essere presente. E' la montagna superba e magnifica. Ed è il tiepido calore della mia casa. E' l'intero Universo, è il centro del mio cuore. E' il bosco nel quale adoro perdermi e stupirmi dei suoi abitanti. E' il tempio che Le dedicheremo.

Perchè è Colei che è fuori. Ed è Colei che è dentro.
E io scelgo di non contrapporre più ciò che è fuori, con ciò che è dentro.

Laura Ghianda



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