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giovedì 13 maggio 2021

L'incredibile potenza e meraviglia del parto - La nascita di Jendsana

Sulla sacralità della gravidanza e del parto ho scritto uno degli articoli più letti di questo blog, lo puoi trovare QUI

Oggi, a 2 anni esatti dalla nascita della mia seconda bimba, voglio raccontare anche di come lei è venuta al mondo.

Perché è fondamentale, a mio avviso, raccontare l'esperienza del parto? 

Perché l'immaginario attorno allo stesso è terrificante. Film e serie TV fanno la loro parte (leggi danni), come spiega molto bene Elena Skoko con il suo lavoro! 

E decadi di parti inutilmente ultra-medicalizzati hanno fatto il resto. Posizioni che sfavoriscono la buona riuscita (quella che tutte abbiamo in testa, distese sulla schiena con le gambe sulle staffe, si chiama posizione litotomica ed è di invenzione relativamente recente. Favorisce il medico non certo la partoriente né il bambino: va in senso contrario alla forza di gravità! Suvvia); manovre inutili; luci puntate... 

Sono tutte cose che interrompono il meccanismo fisiologico, che naturalmente ha le sue regole.

E' facile da capire: favorisci il meccanismo = tutto riesce meglio. Ostacola il meccanismo = fai insorgere complicazioni. 

Esistono sempre più ospedali che si allineano alla fisiologia del parto, ma per decolonizzare questo immaginario ci vorrà moltissimo tempo.

Le consuetudini di cui sopra, quelle che ostacolavano, hanno portato alla necessità di intervenire di più. Generazioni di donne hanno vissuto un parto violento, è il caso di dirlo. E naturalmente questo resta nei racconti. Come giustificare episiotomie o manovre di Kristeller inutili, se non ingigantendo rischi che magari in un parto rispettato non sarebbero mai accaduti?

I racconti spaventano, e la paura non aiuta. E il cerchio si chiude. Bene. Tra poco avrai un racconto di un parto bellissimo. Estatico direi. Non orgasmico, eh, ma estatico si.

Lessi tutto ciò che c'era da leggere con la mia prima gravidanza. E mi restò dentro: anche per la mia seconda scelsi di partorire come volevo io. 

Non in ospedale, che è un luogo che mi mette paura e disagio per le mie esperienze passate. A meno che la mia piccola non avesse avuto altri piani, perché ricordiamolo, si sceglie in due, scelsi nuovamente di darla alla luce nell'intimità della mia casa. 

La mia Jendsana a pochi giorni, foto di Nicole Frisanco

La prima cosa da comprendere è che abbiamo bisogno di poter scegliere liberamente. E non vedere le donne che scelgono diversamente da noi come nemiche. Non dobbiamo eleggere un modello unico anche nel "come e dove si partorisce", ma curarsi che le alternative siano alternative sul serio. Finché insultiamo chi sceglie diversamente, non stiamo aiutando a creare alternative in modo sano.  

Non dobbiamo cercare validazione del nostro essere "nel giusto" in questo modo, cioè facendo fuori tutto ciò che è diverso, perché questo alla lunga ci si ritorce contro. 

Nelle scelte ci sono sempre fattori individuali, a ciascuna i suoi! Non esiste "l'altra mi fa sentire sbagliata" quando le nostre scelte sono fatte in piena consapevolezza! Piuttosto aiutiamo le donne a scegliere quello che davvero è più giusto per loro, che le fa sentire più a loro agio, mandando a fanculo la pressione di parenti e amici (che anche nel mio caso è stata forte ed è terribile). Se si sceglier per accontentare loro ma no noi stesse ci togliamo potere. E il parto E' potere. Non so se mi spigo. 

In più, il parto è una di quelle cose dove non decidi da sola. Ma no i parenti, lo ripeto, che si devono fare gli affari loro, ma il bambino/a! Il nostro cucciolo può avere altri piani e questo si deve sapere per evitare sensi di colpa nel caso le cose prendano una piega diversa da quella sperata.


E ora veniamo al racconto.

Tutta la mia gravidanza è stata molto difficile, dal punto di vista degli ormoni. Ho sofferto di una terribile depressione, nausee per 7 mesi, fatti della vita che prendevano pieghe dolorose. 

La cucciola però cresceva benone, e il mio corpo, a parte essersi gonfiato come un pallone (ho preso 22kg!), faceva tutto ciò che c'era da fare. 

Il parto mette sempre un po' paura. E' nella natura delle iniziazioni. 

Il fatto che sia il secondo non migliora le cose! Ma poi arriva un momento in cui ti senti in ballo. E quando arriva, la paura se ne va. 

Ho avvertito nell'aria l'avvicinarsi dell'evento qualche giorno prima. Lo chiamo "il giro degli ormoni". Divento cucciolosa, un senso di tenerezza infinita, vivo le giornate in estasi: durante la prima gravidanza questo momento è scattato il giorno prima, con Jendsana è durato più a lungo.

Guardavo il calendario e dicevo: "il 13 è un bel giorno". 

E infatti, le prime contrazioni preparatorie partirono il 12 nel pomeriggio, mentre passeggiavo lungo il Lago di Levico, praticamente galleggiando a mezz'aria.

Il dolore è una delle cose che più spaventa, eppur anche questo è relativo. Nel primo parto lo sentii di più, la paura sul serio fa moltissimo. Poi "non sai bene", tutto è nuovo, tutto è sorpresa. 

Questa volta ho accolto quelle contrazioni fin troppo bene. Sono arrivata a casa, ho cenato, sono andata a letto che diventavano più vispe, ma mi sentivo "drogata" e estatica, al punto che se anche aumentavano di intensità, io dicevo a mio marito "ma magari non è ancora ora". Per quello "fin troppo bene": tra un po' non mi accorgevo che stavo partorendo!

Fa ridere a ricordarlo, ma per me è il segnale che tutto stava andando secondo fisiologia: il corpo ha il suo meccanismo anche di reazione al dolore! Favoriamolo, invece che ostacolarlo!

L'immagine dell'onda mi fu utile un'altra volta: le contrazioni vanno e vengono, non è un dolore costante. Lo senti arrivare come un qualcosa da lontano, che poi si avvicina, cresce, raggiunge un picco e poi scema, scomparendo del tutto. L'essere un po' in un altro mondo mi ha permesso di assecondarla a meraviglia quest'onda. 

E la voce. Vocalizzare accompagnandola, è fondamentale! Altro che gola stretta, altro che trattenere il respiro! 

Mattia ha chiamato l'ostetrica SuperCristina Guareschi perché il mio vocalizzare si faceva frequente, mentre io ancora non capivo se fosse l'ora o no, da quanto ero stordita! L'ostetrica ha capito subito invece, sentendo come vocalizzavo.

Finché l'ostetrica arrivava, mio marito preparava mia figlia grande per portarla dalla vicina, solo perché io potessi concentrarmi su di me. In realtà a me sarebbe piaciuto non escluderla da un simile evento. 

In una ventina di minuti Cristina era da noi. 

Non so dire questa volta quando sia durato esattamente il travaglio, perché è stato un lento crescendo dalle contrazioni del pomeriggio, comunque persino quasi piacevoli, fino a quel momento. Pochissimo direi nella fase più attiva, forse appena qualche ora! 

Arrivata Cristina l'ostetrica, mi visita e vede che ci siamo... che mi viene voglia di spingere. 

Voglio lo sgabello da parto! Finché mio marito lo prepara le prime due spinte le faccio distesa sul letto. E' difficile alzarsi in quei momenti! Ma no eh, mi sono resa conto dell'assurdità dello spingere distese. 

Mentre la mia vicina è arrivata a prendere la mia grande, lo sgabello da parto era pronto.

Mentre mi sedevo sullo sgabello da parto, la testina della mia bebé si avvicinava all'uscita, complice la forza di gravità! Donne, utilizzate la forza di gravità! 

La mamma Terra che attira i suoi nuovi cuccioli a sé aiutando le madri a farli nascere!

A quel punto non aveva più senso che la mia grande se ne andasse. L'ostetrica l'ha chiamata: "vieni a vedere che sta nascendo la tua sorellina!"

Bat Panz - ed era appena febbraio!


Ah si, lo sgabello da parto. Io sono una che ama partorire coi piedi per terra! Mi attraeva l'idea dell'acqua per il primo parto, ma partorire non è affare della mente. Una volta infilata nella vasca ho capito che proprio no, volevo i piedi per terra e tutto del mio corpo me lo comunicava. Il parto è ancora un istinto animale, e io ho adorato di scoprire di avere ancora un istinto animale, e di quanto forte questo possa essere. E' un'esperienza indimenticabile. Nulla nella mia mente l'avrebbe potuta immaginare, puoi solo passarci. 

E infatti, a proposito di gravità alleata: seduta sullo sgabello in fretta e in furia, due spinte aggrappandomi all'asse da stiro ed è nata! Una per la testa, una per tutto il resto!

E' nata con la camicia! Con il sacco amniotico intero!

E le uniche che hanno visto la mia bimba uscire nel sacco sono state la sua sorellona e la mia ostetrica!

4 kg 180 gr, alle 4.58 di mattina. Neanche un punto: dove li mandiamo gli stereotipi sui bambini grossi?

Dopo un po' è nata anche la placentona, che è restata con noi ancora per un po'. Il momento più bello è lo stare pelle a pelle dopo. Fondamentale. 

Io non mi sento "mamma da subito". Ho bisogno di quel momento quanto ne ha bisogno il cucciolo umano. All'inizio fa tutto strano, trovartela "fuori", vederla occupare uno spazio, e tu ti chiedi "ma l'ho davvero fatta io? Era quella che mi stava dentro?". E' destabilizzante, almeno per me. 

Nessun bagnetto, nessuna procedura dovrebbe interrompere questo momento. E se mamma non se la sente, almeno lo faccia il papà. 

Il cordone è rimasto intero per un paio di orette ancora. E forse doveva restare anche un po' di più. E non sono cose che si possono decidere a priori con la razionalità, tanto meno dovrebbero essere decise da procedure standard che non hanno alcuna ragione (a meno di non voler conservare le cellule staminali). 

Varcare la soglia tra i mondi non conclude l'atto della nascita. A me personalmente serviva un momento liminale per ambientarmi nel nuovo mo(n)do e sicuramente anche alla cucciola. 

Fortunata, qualcuno mi ha detto. NO! 

E' il contrario. Il parto non è una malattia, è fisiologico. E' questo che deve cambiare. Una donna deve poter sapere con tutta se stessa che lei sa partorire e il suo bambino o bambina sa nascere. E che IN CASO sia sfortunata allora ben venga intervenire!

Oggi abbiamo tutto. Screening, esami, conoscenze sull'igiene. Uno dei periodi storici in cui morivano un sacco di donne di parto fu proprio nel momento in cui le ostetriche donne furono scalzate da medici uomini, che visitavano le partorienti senza lavarsi le mani per prassi. E' storia. Il medico che intuì la necessità dell'igiene delle mani fu RADIATO. Rendiamoci conto. 

Ogni parto è unico, ma non è una condanna a morte. Il rischio zero non esiste da nessuna parte, nemmeno in ospedale e anzi. Gli ospedali "interventisti" possono paradossalmente aumentarlo, il rischio. 

Ed è importante che circoli questa conoscenza, affinché sempre più ospedali offrano esperienze in linea con la fisiologia.

La potenza che restituisce, l'unicità e particolarità di questa capacità del corpo, il poter sentire cosa vuol dire "istinto", la consapevolezza dell'avere anche una natura ATTIVA, che non esiste il "femminile passivo" dopo che hai partorito in questo modo... sono tutte perle preziose che non andrebbero mai nascoste in nome di questo o quell'ideale. 

Posso dirlo. Partorendo ho trovato pezzi enormi di me stessa.

E attenzione a non applicare una logica duale oppositiva, che è un modo di pensare patriarcale. Non sto dicendo che non esistano altri modi per recuperare pezzi di sé.

Esistono e partorire non deve essere un obbligo. Ma non significa nemmeno negare la portata di questa esperienza. 

Una, deve essere la regola in questi casi: narrare l'esperienza che si è fatta, senza negare le esperienze altrui.

O ricominciamo tutto daccapo.

La presenza della sorella ha portato meraviglie: giocava a partorire, sa tutto di come nascono i bambini, e l'evento così presente nelle coscienze di tutta la famiglia è ricordato e celebrato. Capisco anche con l'esperienza cosa significa "non nasconderlo", portarlo nel quotidiano, dargli spazio perché esista. 

Rispetto al primo parto ero di 6 anni e mezzo più vecchia. La prima volta avevo la sensazione di dover anche combattere una guerra contro tutti coloro (troppi!) che fino all'ultimo mi facevano pressione affinché partorissi come volevano loro! Questa è una mancanza di rispetto terribile, che non aiuta. Sono sicura che alcuni di questi elementi abbiano inciso sul mio modo di vivere il travaglio, sulla fatica, sulla fase espulsiva che è durata moltissimo. Questa volta ho messo netti e feroci confini da subito, perché grazie al primo parto mi sentivo più forte di poterlo fare. E infatti... 

Però se mi leggi e sei nella posizione di amico/parente di una partoriente: dalle fiducia e appoggiala. Gestisci la tua ansia da te e non vomitarla su di lei, perché la tua ansia non la aiuta a partorire, sono stata chiara? Bene. 

E con questo, torno a crogiolarmi nel ricordo. 

Buon compleanno bimba mia!  

giovedì 6 maggio 2021

Biancaneve scandalosa: quello che il caso mediatico non ti dice

Tutti pazzi per BIANCANEVE

E noi ci proviamo a sottrarci da questa polarizzazione e a fare un ragionamento diverso?

Dunque: tutto comincia con l’opinione di DUE giornaliste riguardo una giostra. In Italia diventa un caso. Che strano eh?

Rimbalza per i media tutto un “la dittatura del politicamente corretto vuole cancellare la nostra tradizione”. 

E sono precisamente questi media con questo modo di far giornalismo che ci tendono il tranello. Se ci caschiamo, ci facciamo polarizzare per quella che è la loro visione delle cose. 

In Italia si usa tantissimo: è una fallacia argomentativa (cioè un errore di ragionamento) che ha pure un nome: argomento fantoccio. In questa peculiare variante si tratta di estremizzare ed esasperare le conseguenze di un argomento, fino a tramutarlo nella prova della rovina del mondo. Quindi si costruisce il “dibattito” (scontro, lo definirei) su un argomento che non è affatto quello reale. Ma una costruzione estremizzata e gonfiata dello stesso.

In questo caso il bacio del principe che “non si dovrebbe toccare” sta alla tradizione esattamente quanto il panettone come dolce natalizio nazionale: a meno che tu non sia milanese, e quindi avresti ragione a vederlo come dolce tradizionale, per tutto il resto d’Italia è invenzione recente. Per ragioni meramente di convenienza industriale.

Il famoso bacio è invenzione disneyana, in quanto nella storia originale Biancaneve praticamente sputa o vomita in autonomia il pezzo di mela a seguito del trasporto burrascoso della bara. Una specie di mal d’auto traslitterata sul trasporto funebre. 

Punto. Fine della “tradizione”. 

La questione semmai è un’altra.

Ed è uno dei punti chiave nella ricerca della Dea. E cioè che ogni cultura RI-SCRIVE I MITI. Ne modifica i simboli, ne aggiunge di suoi.

Perché le storie non sono robetta per bambini e non lo sono mai state. Sono matrici, che PRODUCONO IMMAGINI. Immagini che bypassano il controllo razionale e arrivano alla pancia, con la CAPACITA’ DI CREARE CULTURA E VALORI.

A cui poi i membri si adegueranno. Sono un sistema di ordinamento della società, non mero intrattenimento.

Ed è qui semmai che possiamo ragionare. 

Io è da tempi lontani e non sospetti che contesto quel bacio, ma non per un problema di consenso, che mi pare una lettura forzata, ma piuttosto per la produzione di significato simbolico dei generi: un femminile passivo che può essere trasformato solo con l’intervento di un maschile salvifico. 

Roba vittoriana. Biancaneve è del 37, periodo in cui le influenze dei generi vittoriani erano ancora vivaci. 

Non lo dico, cosa ho dovuto leggere in giro su questa aggiunta, sul come un presunto sacro femminile possa essere salvato solo dal "sacro maschile", letture che mi danno i brividi da quanto sono inconsapevoli di una radice storico-culturale. 

Biancaneve originale è una potente storia di trasformazione e iniziazione. La strega non è che la Crona, la Dea in veste di iniziatrice, e il tema è quello della morte e rinascita. Cresci, ti trasformi. Esiste sia con personaggi maschili sia con protagoniste femminili ed è un viaggio che riguarda ciascuno e ciascuna di noi. Dove possiamo avere aiuti, ma i passi, l'azione, la possiamo compiere solamente noi. 

Principio-chiave-di-ogni-iniziazione. 

L’aggiunta del salvatore, posticcia, mi pare davvero forzata e comprensibile alla luce di una lettura storico-sociale. In questo senso sottrae potere, piuttosto che darne. E' come fare i compiti per casa al posto dei propri figli, per trovare un'immagine attuale del processo di crescita che raffigura. 

E calza a pennello con la donna dell'epoca: sempre da proteggere, "minorenne" a vita, delicata e inconsapevole. Prova a fare un po' di ricerca sui valori femminili vittoriani. 

Ecco. Come orientarsi in questo delirio di narrazioni e contro-narrazioni, sovrapposizioni storiche e riscritture? Per me personalmente la chiave è diventata proprio “quale mondo sa produrre quale simbolo”. 

Serve un’infarinatura sui valori delle epoche storiche che si sono susseguite per capirlo, serve una conoscenza di base dei simboli nelle narrazioni e dei meccanismi di modifica degli stessi. 

Allora saremo in grado di proporre ragionamenti non così banalmente polarizzati da “tradizione si, tradizione no”. Perché in quel macro insieme chiamato “tradizione” vedremo probabilmente cose che vorremo mantenere, cose che “ni”, cose che proprio no. 

Cosa è la "Tradizione" se non scelte, di esseri umani venuti prima di noi, per rispondere ai temi della propria epoca? Non c'è "la tradizione". Ci sono somme di tradizioni, ciascuna con una radice precisa. 

E nelle nostre proposte e scelte non ci sarà accordo. D’altronde, c’è chi oggi vorrebbe un ritorno della “donna in casa e del maschio all’esterno a produrre cultura”, modello sociale per cui il femminile solo passivo va benissimo come simbolo. 

Per quanto riguarda me, spingo sui miti delle Dee solari non a caso. 

Attenzione che non è nemmeno vero che si tratti solo di “meccanismi psichici”. I miti hanno SEMPRE più livelli di lettura, è sciocco distinguere tra “profondi/superficiali” nel significato di  “più giusti/meno giusti”. E pure i meccanismi psichici sono stati interpretati proprio in quell’epoca lì, teorizzati nell’ambito dello stesso sistema di valori e visioni del mondo. Nemmeno qui si può parlare di “neutro”, “naturale” e “immutabile”. Dibattito più che mai vivo anche all'interno del mondo della psicologia del profondo (es. Antonella Adorisio).

Ma tu che mondo vuoi produrre, che modello di società vuoi? E’ da qui che possiamo partire.

Per quanto riguarda poi il caso mediatico, a questo tipo di giornalismo possiamo solo rispondere in un modo. 

Questo:


:)